Roma. Arvedo Arvedi, classe 1964, artista veronese dalle origini nobiliari. Naturalmente votato all’arte grazie all’influenza culturale e architettonica esercitata dall’immensità della villa di famiglia, Villa Arvedi; l’artista è cresciuto sotto l’influenza dell’arte classica, negli immensi saloni abitati dagli affreschi di Lodovico Dorigny, tra le sculture titaniche avvolte nella fascinazione degli astri e del mito. Nel 1993, a Chicago, avvenne la svolta: l’incontro col suo maestro, l’artista americano John David Mooney, col quale oltre ad un’amicizia è nata una proficua collaborazione ultradecennale. Esponente di spicco della “Landscape Art”, – l’arte di illuminare i grattacieli – habitué di grandi eventi e grandi spazi, Mooney, coadiuvato da Arvedi, ha realizzato importanti progetti di respiro internazionale, tra cui: “Star Dance” per i Giochi Olimpici di Atlanta ’96. Un’opera gigantesca, l’allestimento della “BellSouth Tower”, caratterizzata dall’impiego di ingenti quantità di materiali, tra cui tubi fluorescenti lunghi più di 2 metri, fari di automobili, luci stroboscopiche e luci di ricerca Zenon. La straordinarietà dell’intervento compiuto sul tetto della torre, era dovuto al fatto che ciascuna delle 32 luci di ricerca fosse computerizzata ad una partitura musicale; quest’ultima faceva muovere ciascun fascio di luce secondo un certo ritmo, dando luogo allo spettacolo luminoso di colori e musica. Insieme hanno altresì realizzato “Light Muse”, per il 150° anniversario dello Chicago Tribune; “Gate for the 3° Millennium”, a Malta, per il Capodanno 1999/2000 e “Spairal Galaxy”, per il Planetario di Chicago.
Ulteriore incontro fortunato è stato quello con l’ecletticismo dell’artista romano, Massimo Catalani, che lo ha coinvolto in un progetto connotato da finalità ambientaliste. Prende vita così “La Casa dei Pesci”, l’impegno per tutelare l’ecosistema marino dalle pratiche deturpanti della pesca illegale. Arvedi si conferma essere artefice di un’arte sensibile che sa rinnovarsi continuamente, senza mai perdere la sua personale cifra stilistica originaria.
La sua folgorazione per la Pop Art americana emerge nitidamente dallo stile delle sue opere; allo stesso tempo, lei si è formato secondo l’antica tradizione dell’arte classica. Pertanto, le chiedo se lei ritiene che la sua arte sia espressione dei due universi artistici di riferimento.
È indubbio che la Pop Art americana ha avuto una forte influenza nella mia carriera artistica. Essere assistente di John David Mooney, uno dei più importanti artisti americani di “Public Art”, e lavorare con lui per oltre 15 anni in progetti internazionali (Olimpiadi di Atlanta, Chicago Tribune, Malta) ha lasciato certamente una profonda traccia nel pensiero e nello sviluppo al colore e alla matericità delle mie opere. Quando tu lavori gomito a gomito con team internazionali la tua mentalità cambia, il tuo approccio al problema cambia, la tua visione dei limiti cambia, e questi cambiamenti fanno parte di te, non puoi più tornare indietro; tutto ciò diventa quel pizzico di sana pazzia che crea un’opera d’arte moderna, quello che ti differenzia dagli altri. Nel contempo le radici sono classiche, la mia storia è classica, l’essere cresciuto e vissuto in una delle più belle ville venete, la villa della mia famiglia, essere circondato da affreschi e opere d’arte mi ha imbevuto di colori classici di un gusto e di una sensibilità molto italiane. Potrei definirmi uno strano mix di radici profonde nel passato, rami lanciati verso le stelle e strisce; un albero-ponte tra due mondi, sempre alla ricerca di innovazione, ma con grande rispetto della mia natura italiana.
La sua sensibilità artistica è anche sinonimo di progettualità a scopo benefico; mi riferisco a i “Cento Pesciolini d’argento per Tommy”, il piccolo affetto da ittioisi lamellare. A tal riguardo, le chiedo quanto sia importante oggi, per un artista, la sua capacità di mantenersi aperto nella creatività, dialogando col sociale, in sostegno ad esso?
Grazie della sua domanda, voglio dirle che prima di essere un artista sono un uomo, per il quale i valori come la solidarietà, l’ambientalismo, il rispetto, sono molto forti. Quando ero a Verona sono stato “Lions” per molti anni e con il mio club abbiamo recuperato molti fondi per fare una scuola per bambini affetti dalla sindrome di Down; a Roma ho supportato associazioni ambientaliste come “La Casa dei Pesci”, per la protezione delle coste vicine a Talamone, dal devastante fenomeno della pesca a strascico o per il supporto alle donne per rientrare nel mondo del lavoro come “Dress For Success”. Il progetto “Cento Pesciolini d’argento per Tommy” nasce da una fortunata combinazione; mi riferisco al coinvolgimento di un mio amico di Verona, l’orafo Alberto Zucchetta, al quale sono legato da una lunga amicizia e collaborazione. Alberto mi ha proposto l’idea e io ho immediatamente accettato, con entusiasmo, di usare uno dei miei pesciolini simbolo (ICUPE, acronimo di Icona Umanità Pesce) per aiutare Tommy, il bambino affetto da questa devastante malattia che impone che la sua pelle venga costantemente idratata.
Perciò abbiamo usato il prototipo che avevamo impiegato per dei gioielli, realizzando alcuni pesciolini d’argento a scopo benefico. Questa è una delle tante operazioni di beneficenza a cui ho collaborato e di cui sono stato promotore. Recentemente, ho prodotto e donato 100 pashmine personalizzate per all’associazione “Dress For Success” di Roma; una realtà internazionale che aiuta le donne a rientrare nel mondo del lavoro, attraverso corsi di aggiornamento e corsi personalizzati e come caratteristica ha, come il nome stesso suggerisce, di donare un vestito di alta moda per i colloqui di lavoro. In questo caso ho pensato che una delle mie pashmine dovesse diventare, per loro, un talismano, un oggetto che potessero portare sempre in tutta la loro vita. Un piccolo segno che simboleggiasse la loro svolta, la loro conquista di una nuova esistenza sociale.
Arvedi, lei si definisce “un ottimista operativo” nel senso che attraverso le sue opere cerca di trasmettere la gioia di vivere, tradotta nell’esuberanza del colore e delle forme. La sua arte è interpretata come “energia positiva” per farsi veicolo di bellezza. In tal senso vuole diffondere la sua visione estetica del mondo?
Sì, è vero, mi definisco “ottimista operativo”, perché l’ottimismo senza azione operativa è semplicemente un’illusione. Questo pragmatismo relativo all’ottimismo operativo deriva dalle mie origini veronesi, il motto della mia famiglia è “honor labori”, onore alla fatica. Ciò costituisce, per me, un valore fondamentale, non importa quale lavoro si faccia, artista, politico, spazzino, fallo bene e con passione, dagli l’onore che merita! La mia arte è colorata ed energica perché io sono così, mi ritengo una persona fortunata, ho fatto esperienze incredibili e penso che tutto ciò si debba percepire nel mio lavoro. lo cerco di trasmettere attraverso le mie opere la gioia di vivere, l’ energia, il colore; cerco di trasmettere valori positivi, un sorriso.
Io auspico che quando una persona guardi un mio quadro o indossi una delle mie pashmine lo senta; spero di creare, nella caotica giornata di ognuno di noi, un momento di pausa, un momento di stupore, quell’istante sospeso nel nulla che è magia. Oggi più di ieri e domani più di oggi avremo bisogno di cultura, di bellezza e di colori, l’opposto della superficialità, della bruttezza e del grigiore che percorre i nostri tempi attuali. Dare energia positiva agli ambienti attraverso i miei quadri, e dare alle persone un sorriso alle loro anime così incupite – da questo momento di incertezza – è il mio compito di artista e la mia arte, la mia positività operativa, è il mio strumento.
In qualità di Corporate Artist, sulle tracce del rapporto tra arte e moda, lei ha sviluppato importanti progetti con il mondo dell’imprenditoria italiana e non; mi riferisco all’impegno di fidelizzare i clienti “vip” da parte delle aziende, al fine di potenziare il proprio business ed estendere la rete sociale. Realizzare tali connessioni ha il proposito di far sì che l’arte esca dai musei per raggiungere un pubblico più vasto?
Lavorare come Corporate Artist è bellissimo, con le aziende posso collaborare in molti modi, dal più semplice arredare gli ambienti con quadri dai vividi colori ad elaborare artisticamente il logo aziendale o entrando più in profondità, trasformando i miei quadri in gadget aziendali di alto livello. Ovviamente non è il quadro il mezzo principe perché è un oggetto bellissimo ma oggettivamente ingombrante e perciò ho sviluppato il progetto “Arte Avvolgente”, dove trasferisco l’immagine e l’energia dei miei quadri su tessuto e ne faccio pashmine. In questo modo le persone possono vestire la mia arte, sentirsene avvolte e protette dal tessuto vellutato e dai caldi colori. “Arte Avvolgente” nasce per le aziende e per i professionisti che vogliono gratificare i loro clienti “vip” con un regalo inaspettato, creando cosi un profondo senso di gratificazione e di orgogliosa appartenenza, un vero legame emotivo più forte di qualsiasi motivo economico.
Quando ero in America avevo visto lo stupore, la meraviglia di un palazzo illuminato da mille colori, e nel mio piccolo volevo dare l’opportunità agli imprenditori di vedere lo stesso stupore e gratitudine negli occhi dei propri clienti più importanti. Tutto ciò non nasce per caso, ma è frutto di una sudatissima laurea in Marketing e Comunicazione e del fortuito incontro con una signora esperta di grafica ed un esperto di marketing che mi hanno supportato nella ricerca del prodotto finale. L’arte con questo progetto per le aziende riprende la sua magia e si mette al servizio dell’uomo, esce dai musei, si muove tra le persone e riscopre il suo ruolo sociale per creare nuovi legami. Non più oggetto esclusivo e intoccabile ma oggetto esclusivo per creare i legami, motivo di orgoglio e soddisfazione tra gli uomini per gli uomini.