Napoli. “Il Bambino Nascosto” è l’ultimo film del regista palermitano Roberto Andò che negli spazi della Fondazione Premio Napoli, a Palazzo Reale, è stato presentato la scorsa domenica. L’incontro è stato animato dalla giornalista de “La Repubblica” Conchita Sannino, dal Presidente della Fondazione, l’avv. Domenico Ciruzzi al quale va la gratitudine per il proficuo incontro che ha visto la partecipazione dei coprotagonisti del film, Silvio Orlando e il giovane talento, Giuseppe Pirozzi. La pellicola, – avremmo detto un tempo – trova il suo fondamento nell’omonimo romanzo del regista, edito da La nave di Teseo.
Il film pone al centro l’incontro tra due solitudini, quella di un uomo che, per vocazione e formazione, è fuori dal mondo reale, il Professore Gabriele Santoro, interpretato magistralmente da Silvio Orlando; e quella di un bambino, Ciro, che è fin troppo “dentro” il (suo) mondo, fatto di piccole azioni criminali e tanta illegalità. Il regista, ci ha confessato subito che l’idea che ha gettato le basi per libro e film trae origine da un fatto di cronaca realmente accaduto più di trent’anni fa nella sua città, a Palermo. Negli anni delle guerre di mafia, alcuni ragazzi rapinarono un’anziana signora del tutto ignari che si trattasse della madre del boss Nitto Santa Paola decretando inevitabilmente, la loro condanna a morte. Nel giro di pochissimo infatti, i bambini scomparvero dal quartiere aggiungendosi tristemente nella lista dei casi cosiddetti, nel gergo mafioso, di “lupara bianca”.
“Volevo raccontare la violenza delle nostre città del Meridione”, – ha dichiarato Roberto Andò – aggiungendo di esserci riuscito grazie a due interpreti straordinari che hanno mediato l’idea che era nella sua mente. “Napoli è un arcipelago in cui c’è una borghesia ritirata, come Palermo” ha proseguito Andò nella discussione sollecitata dalle domande della giornalista. Un film che funge da occasione per riflettere ancora e a fondo sulla condizione dei giovani nelle città del Mezzogiorno, protagoniste in modo scellerato di una condizione di degrado sociale che affonda le sue radici nell’antica “questione meridionale”. Quest’ultima circoscritta a tutta quella serie di problematiche che affliggono il Sud in termini di mancato sviluppo economico, criminalità ed emarginazione sociale. Allora appare spontaneo l’atteggiamento avulso del personaggio interpretato da Orlando che, tra la sua casa in pieno centro storico e il Conservatorio S. Pietro a Majella, elegge la sua dimora-fortezza dalle storture del mondo.
“Gabriele Santoro – ci dice Silvio Orlando – è un uomo che con se stesso intrattiene un monologo interiore continuo, fatto di lirismo in poesia e musica”, probabilmente come antidoto all’universo criminale che ogni giorno è costretto a vivere. Infatti, quando nel film il personaggio interpretato dall’attrice napoletana Imma Villa, gli chiederà perché tanta caparbietà nel restare in quel contesto, lui resta attonito e forse, il non detto, in questo film garbato e profondo, è proprio la chiave di lettura.
“Il lavoro dell’attore è fatto di lungo lavoro per arrivare ad essere se stessi” ha dichiarato Silvio Orlando dall’alto della sua carriera che l’ha visto tantissime volte protagonista di punta di importanti film d’autore, firmati da Daniele Lucchetti, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino. In seguito, ha aggiunto di definirsi soddisfatto per il lavoro svolto poiché si è trattato di “un meraviglioso lavoro di altissimo artigianato italiano”, sottolineando la necessità – condivisa anche dagli altri attori del cast – di recuperare quel bagaglio di sapere antico che il nostro cinema vanta. Accanto a lui, nel film, abbiamo visto “artigiani” d’eccezione di un teatro, prima ancora che di un cinema, di alta qualità: i napoletani Lino Musella, Tonino Taiuti, Imma Villa, Salvatore Striano seguiti dalla dichiarata bravura di Gianfelice Imparato e del Maestro Roberto Herlitzka. “Bisogna essere partigiani di questo cinema, difenderlo” ha concluso Orlando, al termine dell’incontro che ha generato tanta partecipazione grazie anche all’intervento di personalità del mondo culturale presente in sala.
“Napoli è una tribù che resiste” ha aggiunto Ciruzzi citando direttamente Pasolini come collante di una ricerca non solo artistica ma più latamente umana, a sostegno del suo intervento marcatamente posto in direzione di un rafforzamento della politica culturale quale rimedio per superare il gap sociale.
Crediti foto: Lucia Montanaro.