Roma. È da poco passato l’8 marzo, la giornata internazionale della donna, proclamata nel 1977 dall’Unesco. L’istituzione di tale giornata venne proposta nel 1910 a Copenaghen, in occasione della seconda conferenza internazionale delle donne, e si estese presto in varie parti del mondo tra cui l’Italia dove le celebrazioni, interrotte durante il fascismo, ripresero durante la lotta di liberazione nazionale che vide le donne mobilitarsi contro la guerra, l’occupazione tedesca e per la rivendicazione dei diritti femminili. A tanti anni di distanza la ricorrenza è sempre carica di significato ma di certo non ha il sapore di una festa: donne uccise dagli stessi uomini che dovrebbero amarle, parole imbarazzanti per narrare stupri e altri reati nei confronti del mondo femminile, gap salariali e disparità di genere, media e pubblicità che esaltano le donne solo in relazione a gioventù e bellezza, non avendo, forse, le stesse il diritto di invecchiare. Tantissime le lotte negli anni per ottenere una parità civile, economica, giuridica e sociale rispetto agli uomini e molte le inestimabili conquiste ma, evidentemente, non è ancora abbastanza. Il femminismo e altri importanti movimenti hanno consentito alle donne di emanciparsi e autodeterminarsi, di essere protagoniste delle loro vite: scegliere il proprio percorso di studi, lavorare in settori prima riservati agli uomini, essere madri o non esserlo, amare qualcuno o voler porre fine a una relazione, sono azioni abbastanza consuete oggi, ma non ovunque e non senza ostacoli e problemi. “La libertà va sempre difesa, riconquistata”, cantavano i PGR, e quella delle donne ancor di più perché costantemente minacciata: ce lo ricorda quasi ogni giorno l’orrenda cronaca o la società stessa dove il gentil sesso è spesso in difficoltà e in posizioni di svantaggio. Anche là dove è sancita una parità tra uomini e donne, spesso manca un’eguaglianza sostanziale ed effettiva, per non parlare di quei paesi dove il mondo femminile è ancora in una condizione di inferiorità o di quei poteri che ridiscutono le libertà acquisite, mettendole in pericolo e scrivendo talvolta pagine di storia molto simili alla trama di un romanzo distopico.
“Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo”.
Sono parole tratte da “Il racconto dell’ancella”, famoso romanzo distopico della canadese Margaret Atwood del 1985. Ambientato in un regime totalitario e teocratico, instauratosi in un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, il libro esplora i temi della donna e in particolare della sua sottomissione: le donne sono private di qualsiasi potere, il corpo femminile è completamente asservito e il potere mira a sfruttare le funzioni riproduttive delle ancelle, le uniche ancora in grado di procreare. Difred, ovvero donna che appartiene a Fred (Offred in lingua originale), è la protagonista e come le altre ancelle, privata del suo nome e della propria vita, ha il compito di dare un figlio al suo padrone e garantire così una discendenza all’élite dominante nella neocostituita Repubblica di Gilead, corrispondente all’evoluzione degli Stati Uniti d’America.
Divenuto ormai un vero e proprio classico, il libro affascina e spaventa allo stesso tempo, poiché una distopia si basa quasi sempre sulle paure realmente percepite dalla società. Da un giorno all’altro le donne sono private della libertà, non possono più lavorare, uscire da sole, leggere, truccarsi e devono assolvere unicamente al loro destino biologico: imprigionate e stuprate per procreare, le ancelle vengono sacrificate per l’umanità, in nome di un mondo da salvare, da redimere. Il nuovo ordine, che si vanta di aver sottratto la donna ai pericoli della società libera, è crudele e violento: gerarchizzato, controllato, diviso in caste – ci sono oltre alle Ancelle, le Mogli, le Zie, le Marte, le Nondonne – nulla può sfuggire all’Occhio del regime che non esita a punire atrocemente chiunque violi le regole. A fare da contraltare, rendendo ancora più intollerabile la violenza della nuova nazione, uno scenario di quiete e i lenti ritmi di vita di Gilead: le giornate sono scandite dalle faccende domestiche, dal suono delle campane; le mogli dei comandanti curano i fiori del giardino e alle ancelle è concesso muoversi solo in coppia, per protezione ma più verosimilmente per fare da spia l’una all’altra. Vestite con particolari abiti rosso sangue e con cuffie bianche, che la scrittrice chiama ali bianche, a fare da paraocchi e a nascondere gli sguardi, Difred e le altre si salutano con frasi convenzionali perché anche il linguaggio di Gilead ha le sue regole. Tuttavia, in quel clima opprimente, in quel deserto di emozioni, dove gli stessi uomini che sono al comando vivono nell’infelicità, qualche desiderio ancora arde e da ciò dipenderà forse il successo di una ribellione che si annida tra le pagine della narrazione.
Vincitore di vari premi e con milioni di copie vendute, il romanzo, che suscitò polemiche incontrando anche la censura in alcune nazioni, è spesso annoverato tra le opere femministe anche se la Atwood preferisce che il suo lavoro venga definito umanista: frutto di accurate ricerche, l’autrice ha raccontato storie già accadute in qualche parte del mondo o che sarebbero potute accadere se le intenzioni di dittatori o influenti gruppi religiosi avessero trovato applicazione. Dopo tanti anni, “Il racconto dell’ancella” è tornato all’attenzione del pubblico grazie ad una fortunata serie tv tratta dal romanzo che, girata durante la campagna elettorale di Trump, ha fatto dell’opera un simbolo della resistenza alle politiche del tycoon. Negli ultimi tempi la questione femminile è stata posta di nuovo al centro del dibattito: il movimento MeToo ne è un esempio ma in ogni campo, dal cinema alle serie, dai media ai social, dalla politica al diritto, si affrontano discussioni su maternità, aborto, stupri, rapporti tra i sessi a dimostrazione di quanto sia difficile e piena di insidie la strada per la piena e concreta affermazione della donna nella società. I diritti delle donne vanno tutelati e rafforzati affinché ciò che si è ottenuto non venga demolito e perché si proceda verso ulteriori miglioramenti della condizione femminile, tenendo alta la guardia su ogni singolo cambiamento che possa rappresentare una minaccia. Il regime di Gilead si è instaurato in maniera abbastanza rapida in un mondo passato, ricordato da Difred, che è molto simile al nostro presente e che inevitabilmente è chiamato a riflettere: contro il pericolo dei totalitarismi di qualsiasi tipo, che colpiscano le donne, come nel libro in questione, o l’umanità in generale, bisogna restare sempre vigili, in ogni epoca, perché il valore della libertà non va mai dato per scontato.
“Vivevamo, come al solito, ignorando. Ignorare non è come non sapere, ti ci devi mettere di buona volontà. Nulla muta istantaneamente”. Non dimentichiamolo!