Milano. Può il mito raccontarci ancora oggi qualcosa? È in grado di rinnovarsi e affascinare i lettori odierni oppure si tratta di un argomento abusato, sviscerato con precisione chirurgica e, pertanto, ormai obsoleto? Spesso ci poniamo queste domande e forse, se proseguissimo unicamente sulla falsariga dei testi che ci hanno accompagnati negli anni di scuola, potremmo ritenere legittime le nostre osservazioni. Ma quel forse ci apre un mondo e ci spinge a volgere lo sguardo verso testi recenti che di didascalico hanno ben poco ma che, egregiamente, possono erudirci ancora sul mito arrivando persino a farcene innamorare.
Ci riferiamo a “Circe” di Madeline Miller, romanzo pubblicato nel 2018 negli Stati Uniti e diventato in poco più di un anno un autentico bestseller tradotto in sei lingue. In Italia è stato pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli.
Considerata talvolta dea e talvolta maga, la mitologia ha fatto indossare a Circe vesti differenti ma la sua natura criptica nel corso dei secoli ha reso concordi tutti coloro che hanno vergato parole per raccontare il suo personaggio: la prima menzione la riscontriamo nell’Odissea dove ci viene indicata come unica abitante dell’isola di Eea, luogo in cui approderà Ulisse con i compagni di ritorno dalla terra dei Lestrigoni. Miller, però, non sceglie di iniziare il suo racconto da questo punto ma guarda a ritroso, all’infanzia e alla giovinezza di Circe, consentendo al lettore di conoscere i tratti salienti di una figura che di malvagio ha ben poco e i cui tratti foschi derivano unicamente dalle sofferenze patite nel corso della sua esistenza.
Circe è figlia di Elios, il dio del Sole appunto, e di Perseide, una ninfa. Ha tre fratelli, ovvero Perse, Pasifae – la celebre genitrice del Minotauro – e infine Eete, padre della ben nota Medea.
Ognuno in famiglia brilla di luce propria, dai consanguinei di Circe fino all’ultima divinità, l’unica che sembra incespicare di continuo è lei, la misera, l’insulsa, colei che vive in adorazione del padre e che rappresenta il bersaglio perfetto della pletora di fratelli e cugini che la circonda.
Accade però che un giorno Circe incontra Glauco, un pescatore mortale di cui si invaghisce subito e grazie al quale scopre le sue doti di maga. Dopo aver trasformato l’amato in una divinità, Circe si accorge che in realtà le attenzioni del giovane sono tutte rivolte alla bella ninfa Scilla ed è a quel punto che la protagonista impazzisce, decidendo di mutare l’aspetto della giovane in un essere dalle fattezze disgustose.
L’onta è intollerabile, gli dei si radunano per stabilire una pena adeguata e alla fine scelgono di esiliare Circe sull’isola di Eea per l’eternità. Da questo punto in poi inizia la vera vita di Circe che imparerà a conoscere la sua nuova “casa”, una dimensione felice in cui potrà finalmente formarsi come maga scoprendo le caratteristiche delle piante e sfruttandone le peculiarità a proprio vantaggio.
Al contrario di quanto si possa credere, Circe vivrà una vita ricca di avventure sulla propria isola e per ben due volte la lascerà: la prima occasione sarà data dalla nascita del Minotauro, la maga infatti sarà prelevata da Dedalo in persona per assistere la sorella durante il mostruoso parto, ma farà ritorno su Eea portando con sé il ricordo appassionato della breve storia d’amore con il celebre architetto ed un telaio in legno pregiato di cui verrà omaggiata dall’amato.
I secoli trascorreranno senza che Circe invecchi mentre sulla sua isola approderanno naviganti esausti che, dopo essere stati rifocillati, daranno sfogo alla propria crudeltà arrivando ad abusare di lei. La maga, però, saprà ricorrere ai suoi pharmaka mutando gli uomini in maiali. La medesima sorte rischiata da Ulisse che si salverà grazie all’astuzia e all’intelligenza acuta che gli consentiranno di comprendere le potenzialità di Circe intraprendendo una relazione amorosa con lei ma, soprattutto, un rapporto paritario, intuendo quanto sia arguto e profondo l’intelletto della maga.
L’anno insieme volerà e Ulisse dovrà intraprendere il viaggio per tornare ad Itaca ma dall’amore tra i due nascerà Telegono, mortale che – secondo il mito – fonderà Tuscolo e Preneste.
L’infanzia del piccolo è turbolenta ma la giovinezza muterà la sua indole rendendo fiera la madre.
Un autentico colpo di scena si avrà con l’arrivo di Telemaco e Penelope sull’isola di Eea, sopraggiunti insieme a Telegono dopo la morte di Ulisse per mano proprio del figlio di Circe.
Da questo momento in poi la storia assumerà un finale che a molti apparirà incredibile ma non ai conoscitori del mito, appunto, avvezzi ad impensati colpi di scena.
Leggendo il volume si resta rapiti dal susseguirsi delle circostanze che catturano Circe, Miller ha saputo mescolare con grande maestria una storia avvincente di suo mostrando una profonda conoscenza della mitologia, forte della sua solida formazione in lettere classiche e dello studio accurato delle fonti antiche. “Circe” è il suo secondo romanzo, l’autrice infatti ha esordito con “La canzone di Achille” in cui narra la storia d’amore tra l’eroe e Patroclo: un lavoro che, per sua stessa ammissione, è durato un decennio.
Grazie alla storia della maga di Eea, Miller ha ottenuto una candidatura per il prestigioso Women’s Prize for Fiction, premio già vinto da lei nel 2013. L’autrice si contraddistingue per il suo fortissimo impegno nelle battaglie femministe e leggendo “Circe” non si può non notare questo aspetto.
Si tratta di un’opera autenticamente femminista perché narra la rinascita di una donna in cui ben pochi hanno creduto gettando un’ombra su di lei e consegnandola ai posteri come una figura complessa e malvagia. Incredibilmente, Circe riuscirà a crescere proprio grazie agli uomini: ci sarà chi indugerà nell’osteggiarla, come il padre, i fratelli e lo stesso Ermes, e chi, invece, saprà farla sbocciare come Dedalo, Ulisse e l’ultimo uomo che diventerà il suo compagno mortale, per il quale la maga sceglierà di abbandonare il privilegio dell’eterna giovinezza.
È una donna in divenire, la più mortale tra gli dei, colei che degli esseri umani non possiede solo la voce ma anche l’indole, le emozioni, il cuore.
Una menzione speciale va fatta anche alla magistrale traduzione di Marinella Magrì che ha reso nella nostra lingua la bellezza e la luminosità di un personaggio ancora poco conosciuto.
A Maria Grazia Ciani, invece, sono affidate le note conclusive: “Circe” – come sottolinea sapientemente Ciani – non è un saggio bensì un romanzo che conserva la sua solidità senza sconfinare in una lettura frivola.
Circe è una figura multiforme, ricca di sfaccettature, in cui la positività del personaggio è celata ma sa venire allo scoperto al momento più opportuno regalandoci una donna che, oscillando tra umano e divino, alla fine sa compiere la scelta più giusta per se stessa, decidendo di abbandonare il mito e di vivere una vita piena e autentica come mortale.
Una vita ignota ai posteri ma finalmente privata di quella finta patina aurea che l’aveva ingabbiata per secoli.