Torino. Nulla succede per caso o almeno così pensò la giovanissima Natalia Ginzburg, che da adolescente, trascorreva il suo tempo nelle sale di lettura della biblioteca “Pro-cultura femminile” di Torino. Siamo negli anni ’30 e lei era già dedita alla scrittura di versi ma ancora, forse, non aveva incontrato la poesia tout court. Lo fece di lì a poco, con un saggio critico su un poeta che scriveva in dialetto gradese, Biagio Marin.
Quei versi, tratti dalla raccolta poetica “La vita xe fiama”, poesie composte tra il 1963 e il 1969, curata da Claudio Magris e con prefazione di Pier Paolo Pasolini, le accarezzarono l’anima e perfino il cuore. Cominciò così l’inarrestabile ricerca di quel libretto, tampinò le librerie sparse tra Torino e Roma senza però trovare soddisfazione alcuna.
Nessuna di queste, infatti, possedeva il testo oggetto della sua forsennata esplorazione. In un articolo pubblicato a sua firma, quattro decenni più tardi, nel 1970, confessò la sua delusione vissuta in questi termini: “Mi sembrò tristissimo di non essere nata a Grado e di non poter scrivere in dialetto gradese. Mi parve a un tratto cosa io volevo raggiungere e dove era la poesia vera”.
Ciò fu per lei l’incontro fatidico con la Poesia, quella che cambia lo sguardo, interiore ed esteriore sul mondo. La poesia che insegna ad ascoltare un tempo altro, che i poeti chiamano “tempo verticale” perché capace di farsi attraversare interamente, in barba alle tradizionali leggi cronologiche. A tal riguardo, sul quotidiano torinese “La Stampa”, ebbe ancora a scrivere: “Con l’animo di un poeta fallito, leggevo quelle riviste e mi struggevo di tristezza e di invidia; e mi sembrava di guardare il mondo da una perduta provincia”.
Solo in seguito, Natalia Ginzburg, seppe cogliere l’occasione di ricreare quella speciale connessione, personale e poetica scrivendo direttamente a Marin per il tramite di Einaudi, la casa editrice che li accomunava. Quando Biagio Marin ricevette la sua lettera, maledisse il suo tempo poiché troppo poco quello che gli restava ma poi, fu anche contento di sapere che tra i suoi “pochi lettori” – a suo dire – vi fosse anche la grande scrittrice. Le disse, salutando la qual cosa con naturalissimo slancio: “Doveva dirmelo prima che ama i miei versi”.