Milano. Mercoledì 2 febbraio debutta in prima nazionale “M Il figlio del secolo” di Massimo Popolizio. Imponente produzione del Piccolo Teatro di Milano, con il Teatro di Roma e Luce Cinecittà, lo spettacolo racconta, a partire dal romanzo storico di Antonio Scurati (premio Strega 2019), l’ascesa di Mussolini dalla fondazione dei fasci di combattimento, passando per la Marcia su Roma (della quale nel 2022 ricorre il centenario), fino al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925 e al dilagare dello squadrismo. Popolizio, nella duplice veste di regista e attore in scena, porta sotto la lente d’ingrandimento del teatro sei anni che sconvolsero l’Italia.
Accanto allo stesso Popolizio, nei panni di Benito “il teatrante”, e a Tommaso Ragno, in quelli di Benito Mussolini, diciotto attori per circa ottanta ruoli: (in ordine di locandina) Sandra Toffolatti, Paolo Musio, Raffaele Esposito, Michele Nani, Tommaso Cardarelli, Alberto Onofrietti, Riccardo Bocci, Diana Manea, Michele Dell’Utri, Flavio Francucci, Francesco Giordano; e ancora Gabriele Brunelli, Giulia Heathfield Di Renzi, Francesca Osso, Antonio Perretta, Beatrice Verzotti.
Le scene sono di Marco Rossi; Gianluca Sbicca firma i costumi; le luci sono curate da Luigi Biondi, il suono da Sandro Saviozzi, i video da Riccardo Frati e i movimenti da Antonio Bertusi.
Lo spettacolo è al Teatro Strehler fino al 26 febbraio e sarà al Teatro Argentina, a Roma, dal 4 marzo al 3 aprile. Tornerà, poi, al Piccolo Teatro, nell’autunno 2022.
Durante la permanenza milanese, intorno a “M Il Figlio del secolo” si sgrana un fitto calendario di iniziative e incontri per il pubblico e per le scuole, riuniti sotto il titolo “Oltre la scena”, a significare la necessità, per ricreare una comunità intorno al teatro, di esperienze condivise che vadano oltre la mera visione dello spettacolo.
Adattamento in trentuno quadri del romanzo storico di Antonio Scurati “M”, lo spettacolo firmato da Massimo Popolizio ha una struttura circolare, che si apre con l’ultima battuta del libro per poi tornare a quella stessa fatidica frase pronunciata in Parlamento da Mussolini al momento di “addossarsi la croce del potere”: “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”.
Senza alcuna inclinazione al compendio storico e riepilogativo, il testo dello spettacolo mira a portare in scena una rappresentazione plastica ed espressionista dell’affermarsi del fascismo.
Una storia, quella che instrada l’Italia al fascismo, che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra, con l’impresa di Fiume, il basculare del paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dello squadrismo, la rocambolesca Marcia su Roma (di cui nell’ottobre del ’22 ricorre il centenario) e l’inesorabile efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta. Protagonisti ne sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, che sentiremo esprimersi in terza e prima persona, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della Grande guerra e tutta una nuvola di individui venuti dal basso. Protagonista, si potrebbe dire allora, è l’intera comunità nazionale, “il paese opaco”, quasi che il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”.