Tricase. Credere nel potere delle parole come atto di coraggio, come opportunità da condividere insieme, un esperimento che conduce alla bellezza, targato Terra Somnia Editore. Stiamo parlando di “Scrittori in officina – Un libro da leggere per scrivere”, quinto esemplare della casa editrice del Salento che nel logo archetipico dell’occhio aperto guarda oltre i propri confini.
Trattasi di una raccolta di racconti, per essere recidivi. Ma vi è di più poiché gli autori sono abituali frequentatori di “L’Officina delle parole”, il collettivo di scrittura creativa guidato dalla giornalista e docente napoletana Vincenza Alfano.
Quattordici autori (Anna Maria Cacciatore, Ivan D’Amora, Eleonora Del Giudice, Gisella Di Sciullo, Alessia Guerriero, Maria Grazia Gugliotti, Maria Marmo, Gabriella Miele, Valentina Ossorio, Ilaria Pagano, Pina Parisi, Vincenzo Sarracino, Patrizia Sorrentino, Stefania Squillante), di ogni età e formazione, legati insieme dalla passione per la parola scritta, si gettano vis-à-vis con i pilastri della letteratura moderna.
“Kafka, Woolf, Joyce, Svevo, Carver, Poe. Le storie di questo libro nascono dall’imitazione di grandi maestri. Ma non si tratta di semplici copie. Non possono dirsi soltanto riscritture. Ogni autore ha scelto una via personale aderendo con originalità al modello e senza rinunciare alla propria visione del mondo”, si legge nella seconda di copertina.
Un libro che vuole essere fonte di prova per cimentarsi, un manuale di scrittura per coloro che vogliano riecheggiare – con la propria cifra stilistica – i grandi interpreti della letteratura di tutti i tempi. Troviamo racconti sensazionali leggendo gli esperimenti kafkiani di trasformazioni più o meno annunciate ricordando l’antico topos del divenire proveniente dalla cultura classica, da Omero a Ovidio fino ad arrivare a D’Annunzio.
Proseguendo nell’architettura del libro ci si imbatte nell’approccio indipendente di Virginia Woolf che alla donna del suo tempo suggeriva di avere “Una stanza tutta per sè se vuole scrivere romanzi”. Con “Gita al faro” gli autori della raccolta si sono confrontati con ciò che la Woolf definiva “i piccoli miracoli quotidiani” ovvero “Rivelazioni improvvise che sfuggono alla vista comune. Rivelazioni che danno senso a una giornata qualunque, a un tempo sospeso tra il prima e il dopo di qualcosa che dovrà accadere”, un filo narrante che coniuga la vita e la morte riempendo di senso il piano creativo dell’attesa.
Ed è la volta di Joyce che dice: “Dobbiamo scrivere pericolosamente”. Non una semplice indicazione ma una precisa indicazione di rotta. James Joyce è l’iniziatore del Modernismo, a lui si deve l’ideazione del flusso di coscienza: una tecnica spericolata da attingere in prima persona e senza alcun orpello. La punteggiatura, infatti, non compare mai nel fluire inconscio del pensiero delirante.
Il bello viene con la parabola dedicata a Italo Svevo. Dodici racconti sotto forma di dodici atti mancati, rocamboleschi fallimenti premeditati dall’io narrante per evadere la regola, l’obbligo morale o sè stesso. Per omaggiare lui, il massimo esponente del romanzo psicologico in Italia che, nel coevo Luigi Pirandello, trova una successione di genere mutando l’approccio umoristico e paradossale per un registro più introspettivo e rigoroso nell’analisi dell’io interiore.
Spingendosi ancora oltre nei meandri della raccolta, ci si imbatte nella calma stratosferica del Minimalismo, un’arte sofisticata e soave. Raymond Carver è stato un’autentica guida del genere. Lui, forte della virtù della sottrazione, ha fatto della narrazione breve il suo credo. Il segreto è raccogliersi e osservare la realtà, una tecnica che per alcuni autori della scuola americana è diventata un vero e proprio metodo, dando vita a storie dilatate nel tempo, straordinariamente riuscite. “Uno scrittore a volte deve essere capace di rimanere a bocca aperta davanti a qualcosa, qualsiasi cosa – un tramonto o una scarpa vecchia – colpito da uno stupore semplicemente assoluto” (Raymond Carver).
“Scrittori in officina – Un libro da leggere per scrivere” volge al termine con Edgar Allan Poe, il sesto e ultimo grande pilastro col quale i nostri autori si sono confrontati. Il suo stile viene comunemente definito gotico, è un esponente del genere horror. “Il cuore rivelatore” è il suo metronomo, lo strumento che nella trasposizione narrativa registra il brivido che il lettore di turno vive nell’incedere della storia.
A tutto si può credere se la suggestione è costruita a regola d’arte. Le atmosfere, il contesto, gli spazi aperti e quelli chiusi, ogni aspetto diviene elemento essenziale per il raggiungimento dell’obiettivo: creare la suspense nel lettore. Bisogna muoversi con circospezione negli anfratti narrativi prestando attenzione allo scarto, il dettaglio apparentemente insignificante che nel genere horror getta le basi per trascendere nella dimensione surreale, laddove la razionalità risulta tradita e indifesa.
“La paura è infatti il momento in cui la nostra mente galoppa scollandosi dalla realtà. La letteratura horror tende a riprodurre questo sconfinamento” rivela la curatrice accompagnandoci pagina dopo pagina nel tempo e nello spazio senza fine della Letteratura.