Bari. “Tutto per mio figlio”, regia di Umberto Marino, è stato presentato in anteprima nazionale presso il Teatro Kursaal di Bari, in occasione della tredicesima edizione del “BIF&ST International Film&tv Festival”, opera realizzata in virtù della co-produzione tra Rai-Fiction e Compagnia Leone Cinematografica, la quale si è avvalsa della proficua collaborazione della SIEDAS (Società Italiana Esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo) e in particolare del contributo del socio Paolo Miggiano.
Un format concepito per il grande pubblico televisivo che ha il pregio di raccontare, attraverso la finzione, una vicenda realmente accaduta in terra di Camorra. Siamo in pieni anni ’90 e in alcune piazze mercatali, sparse tra il basso Lazio e la Campania, insistono asfittiche reti criminali in ogni settore del commercio ambulante, guidate dagli emissari del clan che detiene il potere nella zona.
Raffaele Acampora è un padre di famiglia onesto che è costretto a svegliarsi alle 4 del mattino per raggiungere il posto di lavoro, per garantire ai suoi quattro figli un futuro diverso dal suo e quello che ha è l’unico mestiere che sa fare: l’ambulante di animali. Giuseppe Zeno si cala con talento nell’impegnativo ruolo di protagonista che, a testa alta, chiede diritti e tutele non solo per sé ma per l’intera categoria che si assume l’impegno di rappresentare.
E così che Raffaele fonda un sindacato autonomo nel suo paese, pesantemente condizionato dalle incessanti richieste estorsive del clan Formicola e con poche centinaia di tessere tenta di rivendicare i diritti essenziali di ciascun lavoratore per contrastare, con gli strumenti previsti dalla legge, lo sfruttamento e il degrado al quale lui e i suoi colleghi sono costretti a vivere. Nel giro di pochissimo il taglieggiamento del clan diventa sempre più pressante e chi non sta al regime della tangente ha solo una strada davanti a sé: andare via.
Le azioni ritorsive con metodo mafioso non tardano ad arrivare: la macchina bruciata, gli animali ammazzati, violenza fisica e minacce tutt’altro che celate a fermarsi, a non proseguire lungo la strada della giustizia. Il clima si fa cupo, i toni diventano disperati ed imploranti, in particolare quelli della moglie di Raffaele, interpretata da una brillante Antonia Truppo. Parimenti gli amici e colleghi del mercato cederanno al compromesso, alla rassegnazione che nulla possa cambiare, alla paura. Il capo clan (Roberto De Francesco), dalla sala colloqui del carcere continua a dettare legge e se parla di “vacanze” sta dicendo alla moglie, una imperterrita Tosca D’Acquino, che a breve le proteste dei lavoratori finiranno e tornerà ad operare l’implacabile e unica legge imperante in quel Sud Italia. È solo una questione di tempo.
La Camorra non perdona chi non si sottomette ad essa, chi non paga ma soprattutto chi ha il coraggio di denunciare. “Tutto per mio figlio” è un film tv che ripercorre i connotati di molte, troppe storie di resistenza di quegli “eroi inconsapevoli” che hanno dato dignità al lavoro scegliendo ogni giorno da che parte stare. Raffaele Acampora come altri imprenditori e sindacalisti “vittime innocenti della criminalità organizzata”, decide di denunciare mettendoci la faccia, scrivendo di proprio pugno esposti firmati, atti a perseguire la responsabilità penale dei suoi estorsori.
A colpi di segnalazioni e querele, Raffaele, conscio del valore civile della sua battaglia legale ma soprattutto del caro prezzo della stessa, resiste insegnando a Peppino, il figlio quattordicenne, che gli uomini giusti mantengono la parola data.
Tra gli altri interpreti ricordiamo, il giovanissimo Giuseppe Pirozzi che – dopo aver recitato al fianco di Silvio Orlando con “Il Bambino Nascosto” di Roberto Andò – conferma la sua bravura nel ruolo di figlio; Massimiliano Rossi, Ernesto Mahieux, Nello Mascia, Bruno Torrisi e Fabio De Caro.
“Tutto per mio figlio” – sottolinea il regista – “racconta la storia di un uomo qualunque, con una vita qualunque, un uomo piccolo che però fa una grande scelta. Questo film tv si propone di mostrare il male senza renderlo romantico e di raccontare come il bene vi si opponga con gesti e comportamenti piccoli, legali, poco eclatanti, ma non per questo meno importanti. In questo contesto, la mia regia non vuole diventare protagonista, ma intende nascondersi per dare il più grande spazio possibile ai personaggi e ai loro sentimenti”.
Crediti foto Agostino Vertucci.