Salerno. 10 anni di Salerno Letteratura, 10 anni di una creatura cresciuta nel tempo che ha saputo schivare coraggiosamente i colpi inferti dal difficile periodo storico che stiamo vivendo, senza perdere il suo anelito di vita ma rinvigorendosi e cibandosi di parole. Perché forse con la cultura non si mangia (abbastanza aggiungiamo noi), ma laddove il corpo è affamato la mente è sazia in abbondanza.
Tanti gli ospiti che si stanno avvicendando dal 18 al 25 giugno nei luoghi più suggestivi del centro storico salernitano e nella serata di ieri è toccato ad un musicista che ha deciso di cimentarsi con la scrittura: Ermal Meta.
Nell’atrio del duomo gremito ed illuminato in modo alquanto suggestivo in una calda serata estiva, il cantautore di origini albanesi è stato accolto da un applauso scrosciante ricambiato da un ampio sorriso che ha ripagato la lunga attesa.
Come dicevamo, Meta è noto nel panorama musicale italiano dove nel corso di pochi anni ha saputo ritagliarsi una credibilità indiscussa ed un pubblico eterogeno ma la scrittura di un libro rappresenta per lui un’autentica novità che lo ha portato a redigere un romanzo in cui la storia del protagonista, Kajan, si intreccia con la storia di un popolo, quello albanese appunto.
Siamo nel 1943, nel pieno del secondo conflitto mondiale. Il piccolo Kajan vive con il nonno, Betim, perché i suoi genitori sono partigiani e stanno combattendo contro il nemico. Ben presto nella loro vita entrerà Cornelius, un uomo pieno di mistero che nasconde un passato burrascoso. Si tratta, infatti, di un disertore dell’esercito tedesco che verrà accolto da Betim nonostante i dubbi iniziali e che si rivelerà essere fondamentale per Kajan: Cornelius, infatti, è un abile pianista e si accorgerà ben presto del talento del bambino che, in pochi anni, diventerà un virtuoso dello strumento.
Ma come è nata in Ermal l’esigenza di scrivere una storia? È questa la domanda a cui ha dato voce Paolo Di Paolo, giornalista e direttore artistico del festival, interpretando il quesito inespresso dei presenti. “Questa storia è nata nel 2020, durante la pandemia – ha ammesso Ermal. Vivevo come tutti un periodo di stasi, privo di musica, ma sentivo l’esigenza di raccontare qualcosa. Una notte mi sono alzato ed ho iniziato a scrivere di Kajan perché quello che dovevo dire scalpitava per venire fuori. Ma non mi reputo uno scrittore, piuttosto mi ritengo un musicista che ha scritto un romanzo”.
Un romanzo di un’attualità disarmante come ha sottolineato Di Paolo e che ha trovato concorde Meta: “Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo non credevo che poi si sarebbe verificata una simile analogia (la guerra in Ucraina n.d.r.) però mi chiedo perché per altre guerre non ci siamo scandalizzati, forse perché le abbiamo percepite come lontane? O ci preoccupiamo di tutte o usciamo da questo equivoco dell’ipocrisia che riguarda ognuno di noi”.
Un romanzo in cui la storia di un popolo fa da sfondo alla vicenda umana del singolo necessita di un lungo lavoro documentario, lavoro che ha impegnato Meta per circa otto mesi, mentre la stesura vera e propria del libro lo ha impegnato per sei: “Ho fatto molte ricerche prima di intraprendere questa storia ed ho parlato di un’epoca in cui tutta l’Europa ha vissuto con il fiato sospeso, poi qualcosa è mutato. Alcuni paesi, come l’Albania, sono entrati in un altro incubo durato ben 45 anni, un lasso di tempo in cui la nazione era chiusa ermeticamente. Il mondo della cultura – continua Ermal – è stato vessato in particolar modo, di ciò che è accaduto in Albania in quegli anni non si sa molto, solo a partire dal 1991 si è iniziato a conoscere qualcosa di più”. Meta ha una profonda padronanza dell’argomento scaturita non solo dalle accurate ricerche che ha condotto ma soprattutto dalla voglia di conoscere la storia del proprio paese di origine, desiderio divenuto prepotente quando il cantautore giunse in Italia, nel 1994, insieme ai fratelli e alla madre: “L’Albania – prosegue Ermal – è un paese “estremamente resistente” e la sua storia mi ha sempre appassionato. Quando a 13 anni ho dovuto lasciare la mia città ho sofferto perché non era mia intenzione abbandonare il mio mondo, anche se era pieno di distopie. Nel momento in cui ho iniziato a sognare in italiano ho avuto paura di perdere la mia vita precedente ed allora ho capito che dovevo studiare ancora di più perché il sangue non può diventare acqua”.
Paolo Di Paolo, poi, è tornato sul primo amore di Meta, la musica appunto, e l’occasione è stata propizia per parlare del primo incontro con le note: “All’età di 4 anni mi trovavo in uno studio di registrazione, mia madre mi aveva portato con sé perché ero troppo piccolo (la madre di Ermal è violinista n.d.r.) ed ho visto un pianoforte. Così, senza pensarci, mi sono seduto ed ho iniziato a strimpellare interrompendo le prove dell’orchestra. Ma solo in Italia ho potuto dedicarmi allo studio del pianoforte a modo mio, senza costrizioni. Anche l’approccio con la chitarra è stato determinante: mi ero fratturato una caviglia ed ho chiesto ad un amico di portami uno strumento alternativo al piano che, appunto, non potevo suonare. Attraverso la chitarra ho superato le mie timidezze nei confronti di un nuovo strumento, è grazie ad essa che ho cominciato a scrivere canzoni”.
Il passaggio dal pentagramma alla carta stampata non stupisce nel caso di Ermal che ha abituato il suo pubblico ad una scrittura profonda, fatta di immagini vivide e di emozioni tangibili. La sua padronanza della lingua italiana, nei suoi aspetti più reconditi, denota amore per la parola, un sentimento mai celato e indissolubilmente legato alla musica perché il cantautore ha sempre dichiarato che i libri sono stati fonte di ispirazione per molte delle sue canzoni.
Molti cantautori scelgono di pubblicare la propria biografia, mentre Meta – come ha sottolineato Di Paolo – ha optato per il romanzo, una scelta insolita scaturita però da un motivo preciso: “Kajan non mi somiglia, se non nell’amore per la musica. Potrei scrivere la mia biografia ma non sono pronto a farlo perché questo significherebbe tradire la fiducia che alcune persone, parte integrante della mia storia, hanno riposto in me. Sarebbe un atto di crudeltà”.
A chiusura di un incontro denso di spunti è stata chiesta ad Ermal una riflessione sul tema della decima edizione di Salerno Letteratura, ovvero “La felicità e la rivoluzione”: “La felicità è qualcosa di molto fragile. La felicità è quando qualcuno ha scoperto i suoi talenti, quando ha scoperto cosa ha dentro di sé, quando ha scoperto cosa vuole fare nella vita e soprattutto che cosa vuole evitare in quel momento. Quando qualcuno lavora per migliorare se stesso, quando qualcuno si sveglia ogni mattina e non lo fa pensando che quella sarà un’altra giornata persa bensì un’altra giornata conquistata! È difficile farlo, ovviamente, non è semplice, però ogni grande viaggio comincia con un piccolo passo. E fare un passo laddove hai la sensazione di non poterlo fare è un atto rivoluzionario”.