Gaeta. “Su ali d’aquila” è il primo romanzo di Roberta Rubino, successivo ai suoi tre libri autobiografici. Edito da “deComporre Edizioni”, è un romanzo al femminile costellato da sbalzi temporali che donano brio alla struttura narrativa complessiva poiché consentono di scoprire la protagonista pagina dopo pagina. L’io narrante si presenta come una donna ribelle, di estrazione piccolo-borghese, cresciuta da “autodidatta” nel mito dell’indipendenza e della libertà di essere. Oltre gli schemi e “in direzione ostinata e contraria” nei ruoli che la vita le consegna.
Sempre alla ricerca, in perenne contraddizione con lei stessa e col mondo, una donna inquieta, partigiana nella più profonda accezione, ancorata ai tumulti politici e sociali che segnano il suo tempo, costituenti la tela sulla quale imprimere il colore della sua ribollente gioventù.
Cavalca la sua epoca, con il ciclostile, nella promessa irrealizzata di cambiare il mondo a colpi di manifestazioni con i compagni proletari, fratelli di una comunità slegata da vincoli di costume, amanti del momento e per la vita, nel solco delle tante belle parole pronunciate insieme, con indiscussa fede politica. Di quegli anni è anche la scoperta della fotografia, capace di immortalare l’eternità in un frammento, in una visione inattesa, come il maestro del bianco e nero, Henry Cartier Bresson, le ha sussurrato.
“Tutta la mia esistenza è stata una ricerca, un inseguimento, una disfatta. Tanta tantissima passione, ma poca pochissima eternità: nelle mie foto e nella mia vita”. Fedele a quel senso assoluto di libertà, anarchica in amore, fragile al cospetto di una famiglia maschilista, devota al primogenito Iacopo, il figlio unico, imperfetto e sconclusionato.
Osteggiata da Maricò, madre algida e “invernale”, a detta di Bartolomeo, il padre. Sposa di Ernesto, assistente universitario agli albori (“già un po’ palloso”), poi divenuto professore di Lettere, sempre in cattedra per deformazione professionale. Amante di Lucio per tutta la vita, il suo compagno di gioventù, comunista e squattrinato filosofo ma con la testa sempre piena di idee.
Un romanzo colto, caratterizzato da una scrittura matura, a tratti ironica, che sa svelare in maniera caleidoscopica gli slanci di lei ma anche i dolori antichi, che in filigrana, mostrano tutto il loro peso, restituendo alla protagonista una fragile esistenza.
Sarà Miranda a dare nuova vita al disordinato susseguirsi di attimi, la figlia avuta con Ernesto, prima della fine del loro matrimonio. A silenziare il dolore per una confessione traumatica, con la quale bisognava fare i conti. E poi la storia del “fagiolino” lasciato andare, con insensata fermezza, che le si torcerà contro, anzi dentro, lasciando il posto ad un vuoto che presto diviene baratro. Roberta Rubino ci regala pagine piene di senso, che sono lo specchio di esistenze appese ad un filo: vite segnate dall’ansia di conquista, per un approdo sociale stabile, con il trofeo dell’emancipazione stretto al cuore.
Vite sofferte ed attraversate dal fantasma dell’incompletezza, dalla mancanza di dialogo e dall’abbandono. Vite orfane di quell’amore genitoriale così prezioso, intrise dal tenero disagio che muta in perpetuo fabbisogno di attenzione, di conferme. Vite che rinascono nel tempo, dopo le sciagure che la vita riserva, per continuare a credere, che sì, proprio nulla, finisca davvero e che “Su ali d’aquila” si possa volare e anche molto, molto in alto.
“Tra qualche giorno partirò e non ti vedrò per un bel po’ di tempo. Vivi al meglio che puoi Miranda cara, scegli maglioni caldi, che siano il tramite per ricordi o per sensazioni travisate, e poi lascia che le cose vadano, perché ti assicuro che vivere è un contrattempo veramente emozionante”.
Grazie! E’ uno dei libri di cui andiamo più fieri.
Grazie a lei per il feedback!