Roma. Da giorni, ormai, l’intero catalogo di musiche della SIAE non è più disponibile sulle piattaforme Meta (Facebook ed Instagram, in particolare) ed i relativi audio non sono più utilizzabili per storie e reel, strumenti che rappresentano i cardini dell’ecosistema Meta. Come noto, la SIAE e Meta non hanno trovato l’accordo per il rinnovo delle licenze, con conseguenze per gli utenti che non possono così più usare la mastodontica libreria musicale SIAE; per gli artisti mandanti della SIAE che hanno perso i possibili ricavi derivanti dallo sfruttamento economico delle loro opere; per la stessa Meta che così operando rischia che gli utenti tendano a trasferirsi su altre piattaforme o che comunque una parte di flussi di dati vengano persi.
“Purtroppo non siamo riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con SIAE”, ha affermato a stretto giro un portavoce di Meta. “La tutela dei diritti d’autore di compositori e artisti è per noi una priorità e per questo motivo da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i brani del repertorio SIAE dalla nostra libreria musicale. Crediamo che sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano. Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo, continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con SIAE che soddisfi tutte le parti”.
Non si è fatta attendere la replica di SIAE con una nota: “La decisione unilaterale di Meta lascia sconcertati gli autori ed editori italiani. A SIAE viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio. Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti”.
“Colpisce questa decisione, – prosegue SIAE – considerata la negoziazione in corso, e comunque la piena disponibilità di SIAE a sottoscrivere a condizioni trasparenti la licenza per il corretto utilizzo dei contenuti tutelati. Tale apertura è dimostrata dal fatto che SIAE ha continuato a cercare un accordo con Meta in buona fede, nonostante la piattaforma sia priva di una licenza a partire dal 1° gennaio 2023. SIAE non accetterà imposizioni da un soggetto che sfrutta la sua posizione di forza per ottenere risparmi a danno dell’industria creativa italiana”.
A margine della presentazione dell’album “Capolavori Nascosti”, sul punto è intervenuto anche il Presidente della SIAE, Mogol. “Queste piattaforme guadagnano miliardi e sono restie a pagare qualcosa. Gli autori vivono grazie ai diritti d’autore e la nostra è una battaglia giusta che facciamo in difesa degli autori. È una battaglia sacra che abbiamo portato anche in Parlamento ma da 7-8 mesi è tutto fermo ai decreti attuativi: se la situazione non si sblocca è una battaglia che abbiamo perso”. “La stessa minaccia di Meta – evidenzia Mario Lavezzi – l’aveva fatta tempo fa anche Google: poi l’accordo è stato trovato”.
In sostanza, è il gioco delle parti: da un lato, la SIAE in difesa della creatività dei suoi iscritti e, dall’altro, Meta consapevole del palcoscenico mondiale che la stessa offre agli artisti con le connesse opportunità di guadagno.
Osservando nel merito la Direttiva (attuata in Italia con il D.lgs. 8 novembre 2021, n. 177) che ha portato alla “lite”, l’art. 17 Direttiva (UE) 2019/790 così dispone: «Gli Stati membri dispongono che il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online effettua un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico ai fini della presente direttiva quando concede l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti. Un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve pertanto ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti di cui all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/29/CE, ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza, al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili al pubblico opere o altri materiali».
Dunque, la norma stabilisce il principio in virtù del quale la piattaforma che consente la condivisione di contenuti deve ottenere le licenze per quanto pubblicato dai suoi utenti utilizzando opere protette dal diritto d’autore. Di particolare rilievo sono i cosiddetti User Generated Content (UGC), ovvero quei contenuti generati appunto dagli utenti mediante la combinazione e la ricombinazione di materiali già esistenti (quali ad esempio audio, video, immagini), personalizzati dal creator (professionista o meno) e pubblicati sulle piattaforme rendendoli liberamente accessibili all’intera community. In definitiva, si tratta di un processo creativo che si basa sull’uso dell’altrui proprietà intellettuale, dando vita ad un contenuto diverso rispetto alle singole “componenti” utilizzate.
A ben vedere, però, Meta non guadagna grazie a tali contenuti, o almeno non dichiara di ottenere ricavi dagli stessi. Come precisamente sottolineato dalla SIAE, infatti, il punto nevralgico della trattativa sembra proprio il fatto che nell’accordo proposto da Meta si prescinde “da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio”. In altre parole, si suggerisce l’idea che non è presa in considerazione la peculiare forma di sfruttamento economico dell’opera musicale quale parte di un complesso contenuto social.
Certamente, l’utente che usa una musica del catalogo disponibile su un social compie una forma di utilizzazione economica dell’opera altrui. Allo stesso tempo, anche Meta beneficia di un guadagno che consiste, come minimo, nel flusso di dati legato alla condivisione di quel contenuto. Dunque, sostenere che senza i contenuti creati e condivisi dagli utenti questa tipologia di piattaforme non possa sopravvivere appare un’affermazione basata su una visione miope: i creativi non sono indispensabili per Meta. Infatti, la principale fonte di ricavo di Meta è rappresentata proprio dai dati degli utenti diffusi agli inserzionisti. Più precisamente, i dati personali non vengono venduti. È venduta la possibilità di utilizzare i dati in modo anonimo al fine di indirizzare una pubblicità ad un pubblico altamente profilato, come dichiarato dallo stesso Mark Zuckerberg. Dunque, gli User Generated Content non rappresentano un introito “diretto” per Meta.
La Direttiva sul copyright offre una peculiare protezione ai creativi in considerazione proprio del modo in cui il prestatore di servizi di condivisione utilizza un’opera protetta dal diritto d’autore: i giganti del web, infatti, non sono dei semplici soggetti ospitanti dei contenuti generati e pubblicati dagli utenti e di cui solo questi ultimi sono responsabili. Seguendo tale filosofia, sostenuta inizialmente dalle piattaforme, la violazione della proprietà intellettuale sarebbe compiuta esclusivamente dall’utente che condivide il contenuto sfruttando, ad esempio, una musica altrui. Al contrario, il contenuto genera un flusso di dati e di informazioni che poi può essere ricollocato dalle piattaforme presso gli inserzionisti paganti (come confermato anche da una sentenza della Corte d’Appello di Parigi dell’ottobre 2020, che ha confermato una decisione dell’Antitrust francese contro Google). In altri termini, la piattaforma ottiene un guadagno grazie al contenuto condiviso sulla stessa (ad esempio, l’uso di una canzone per un reel) e per tal ragione si può ritenere che sfrutti economicamente l’altrui opera dell’intelletto dovendo remunerare equamente l’autore di quell’opera.
Ad ogni modo, non può escludersi che Meta guadagni in via “diretta” anche grazie agli User Generated Content ma per affrontare tale tematica occorrerebbe preliminarmente vagliare la possibilità di qualificare gli User Generated Content come opera da tutelare ed economicamente sfruttabile. Il punto non può essere esaminato in questa sede. Al momento, può solo osservarsi come il business di Meta stia virando verso un modello di “mercato a due lati”, tipico del settore giornalistico secondo cui all’offerta di servizi gratuiti sono affiancati abbonamenti a pagamento (si pensi, ad esempio, a Facebook Workplace o alla “verificazione” dei profili degli utenti tramite “spunte blu” già presente con Meta Verified in Australia e Nuova Zelanda).
Comunque, la questione è tutt’altro che risolta. “No al far west, i colossi rispettino le opere d’ingegno e la sovranità legislativa degli Stati” ha dichiarato il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Le parti, inoltre, sono state convocate il 6 aprile al MiC dal sottosegretario alla Cultura Borgonzoni per provare a riaprire le trattative. Inoltre, anche gli artisti Soundreef, gestore indipendente dei diritti d’autore, erano stati originariamente cancellati da Meta ma nelle ultime ore sembra che il suo catalogo sia tornato disponibile.