Milano. Dal 19 al 24 marzo, presso la sala Bausch del Teatro Elfo Puccini, andrà in scena “Isabel Green” di Emanuele Aldrovandi. Isabel Green è una star di Hollywood, ha appena vinto il premio Oscar come miglior attrice protagonista: un sogno che si realizza. Adesso può parlare davanti a milioni di persone stringendo la statuetta. Ma quello che dirà, non sarà quello che ci aspettiamo. Ci sorprenderà e tra una risata e una lacrima, scivoleremo dentro i paradossi e le costrizioni che imponiamo alle nostre stesse vite.
“Se non vi foste già imbattuti nel libricino del filosofo coreano Byung-Chul Han, “La società della stanchezza”, andate a procurarvelo: pochi euro, molta soddisfazione. Han descrive la nostra come la “società della stanchezza”. Non esiste più lo scontro-confronto tra padrone e operai, non c’è il nemico da abbattere, la rivoluzione da sognare. Datore di lavoro e lavoratore coincidono: siamo noi stessi. Noi ci imponiamo ritmi lavorativi ed esistenziali degni del peggior modello fordista, noi siamo al contempo schiavi e schiavisti. In eterna “prestazione”, il tempo, tutto il tempo, diventa “produttivo”, una catena perversa che pare inarrestabile. La conseguenza naturale di un siffatto stato di cose è una stanchezza enorme, paradossale, simile alla morte.
Ecco allora spuntare nuove malattie quali la sindrome del “burnout”. Depressi o isterici, comunque spossati e sfiniti. Da queste premesse è nato “Isabel Green”.
Volevo trovare un modo per parlare di questo tilt epocale. Farlo con leggerezza e ironia, naturalmente (non serve certo aggiungere altra “pesantezza”).
Ho chiamato Emanuele Aldrovandi, ho condiviso con lui il pensiero di Han e altre considerazioni che vi risparmio, per non dilungarmi troppo. Vi basti sapere che dai nostri incontri, numerosi, dalle nostre riunioni, turbolente, dal nostro confronto, serrato, è uscito questo piccolo prezioso testo.
Pilar mi è parsa subito l’attrice perfetta per Isabel. L’ho chiamata e lei ha risposto con grande
entusiasmo.
Isabel è una super star di Hollywood. Bella, famosa, ricca e pure brava.
Isabel ha atteso l’Oscar a lungo, come Di Caprio, e finalmente, come Di Caprio, lo ottiene con “Life of Mother Theresa”. Un sogno che si realizza, la tanto attesa consacrazione.
Adesso può parlare davanti a milioni di persone. In mano, la statuetta d’oro dell’Oscar.
Ma quello che dirà non sarà affatto quello che ci aspettiamo. Fino all’ultimo, anzi, anche dopo l’ultimo istante del discorso, Isabel ci sorprenderà e lentamente, tra una risata e una lacrima, scivoleremo, quasi senza accorgercene, dentro il paradosso delle nostre stesse vite. Quel paradosso che così bene descrive Han” – racconta Serena Sinigaglia.
“L’ansia da prestazione che induce allo sfruttamento di sé senza più bisogno di coercizioni esterne non è un problema da star di Hollywood, è una delle emergenze del contemporaneo. Di questo parla “Isabel Green” lo spettacolo voluto dalla regista Serena Sinigaglia che ha chiesto al drammaturgo Emanuele Aldrovandi di inventarsi una storia per raccontare questi nostri tempi in cui la performance è tutto. Poco importa quale sia Io scopo, il più nobile o il più banale, chi si ferma è perduto. C’era il rischio di uno spettacolo a tesi, non lo è. Il testo coglie i punti critici ma li tiene a giusta distanza, la regia li compone con cura in un disegno pulito sulla scena disegnata da Maria Spazzi come una grande stella nera accartocciata, il resto lo fa Maria Pilar Pérez Aspa, in una delle sue migliori prove: in un fiammeggiante abito rosso, fuori e dentro il flusso di coscienza, l’invettiva e la confessione pubblica, imbarazzi comici e punte di intensità drammatica, con un’adesione davvero impressionante al personaggio di questa donna spezzata dall’eccesso di pretesa verso se stessa. Applausi e sold out più che meritati” – scrive Sara Chiappori de la Repubblica.