Santa Maria Capua Vetere. “La stagione dei papaveri” si intitola il romanzo della giornalista romana Flaminia Festuccia, edito da Edizioni Spartaco. Trecentododici pagine accolte nella collana “Dissensi”, sospese tra un romanzo di formazione e un saggio sulla politica ambientale. Il “plot” della narrazione vede protagonista un gruppo di cinque ragazzi conosciutosi alle scuole medie, composto da Giacomo, Nicola, Silvia, Gerry ed Al, i quali danno vita al “Nucleo Conigli”, un plotone di gioventù con la difesa dell’ambiente nel cuore.
Ragazzi di diversa estrazione sociale, accomunati dagli ideali e dal dovere della militanza nelle fila di un non meglio precisato Movimento ambientalista che tenta, a colpi di azioni dimostrative e sit-in, di rieducare la società industriale, ancorata alla imperante logica del profitto. Il tutto lungo una dimensione temporale asimmetrica, caratterizzata da continui andirivieni nel tempo. Si tratta, infatti, di un tempo verticale, di un tempo dell’essere.
Una scelta narrativa assolutamente vincente, che consente al Lettore di tuffarsi in maniera irregolare dentro la componente emotiva dei personaggi. Si compartecipa ai loro sogni, alle loro illusioni e ci si infrange anche, nelle loro solitudini, nelle loro vite, talvolta attanagliate dall’incedere del tempo e dall’incombere della maturità.
È un romanzo profondamente politico, perché in esso vengono alla luce, attraverso la finzione letteraria, idee pregnanti su tematiche quantomai attuali nel dibattito contemporaneo. Sono pagine che parlano di noi e a noi, ponendo l’attenzione su ciò che una determinata generazione ha a cuore e per la quale si batte, scendendo nelle piazze, per testimoniare fisicamente il sacrosanto diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. È così che si aderisce alla loro causa, che si fa la rivoluzione con loro e per loro, anche a costo di commettere qualche imprudenza in più.
È così che si sposa la visione di Nicola, il giovane e brillante anarchico nella mente e nel cuore, che, come ebbe a dire Elio Vittorini, “suona il piffero della rivoluzione”. Allo stesso modo, al Lettore di “La stagione dei papaveri” risulta del tutto facile aderire anche alla tenera mitezza di Giacomo Oleandri, il rampollo benestante, la cui strada è stata – sin dalla nascita – sancita dalla lungimiranza del padre. Si tifa letteralmente per lui, per il suo modo goffo di vivere la vita, specchiato nella luce abbagliante del suo migliore amico.
“La stagione dei papaveri” è una storia di amicizia. L’amicizia intesa come la tradizione classica ci insegna, quella che nasce e non può spezzarsi mai. L’amicizia perenne che lega due corpi che compongono lo stesso, complesso mosaico. Quell’amicizia che si atteggia ad amore e che molto probabilmente, lo supera di gran lunga, perché è data dall’osmosi di due anime, dal bisogno affettivo di vivere, sine die, lungo la stessa lunghezza d’onda. Quella che ti fa incupire e ti fa gioire insieme, quella che ti getta nell’angolo come un pugile alla resa, se l’amico non ti pensa o non ti chiama, quella che ti fa sentire tradito se qualcosa o qualcuno, si insinua nel prezioso, e talvolta fragile rapporto, sorretto dalle “affinità elettive”.
Sono pagine che celebrano con schiettezza divampante quella che il poeta belga Jacques Brel definì come “La stagione del sole”. L’universo mitico dell’adolescenza che non conosce il tempo della vita adulta e che ti resta attaccato addosso come una seconda pelle.
Flaminia Festuccia ci consegna, nell’ambito della rassegna letteraria “Un Borgo di Libri” – l’appendice culturale del celebre Festival “Settembre al Borgo”, giunto alla sua 51esima edizione – un romanzo intriso di sentimenti, nel quale i suoi personaggi, di colpo, diventano universali, rendendosi il costrutto di una materia più grande. Un romanzo che si staglia nel panorama contemporaneo come un unicum e che strizza l’occhio a quello che fu definito, nel 1957, da Umberto Eco, “un manifesto politico e morale”.
Nicola Farhad, l’aler-ego impossibile di Giacomo Oleandri, è un leader indiscusso e magnetico per come pensa e per come agisce. È la punta di diamante dei “Conigli”. È inarrivabile, sia per Silvia che per Giacomo. Lui che sogna una società più giusta, non si rifugia sugli alberi come il protagonista de “Il Barone Rampante” di Italo Calvino, ma come Cosimo Piovasco Barone di Rondò agisce con la stessa fermezza contro una società sorda e annichilita. Nicola possiede la tempra di un moderno Perseo, che con due ali di cera si spinge sempre più pericolosamente vicino al sole. E non importa se le sue ali si scioglieranno, lui non contempla il piano della responsabilità. Nicola è l’anima del romanzo, la parte mancante di Giacomo, quella per la quale, quest’ultimo, darebbe la sua stessa vita.