Roma. È stato presentato nella sezione “Grand Public” alla 18ma edizione della Festa del Cinema di Roma il lungometraggio “Dall’alto di una fredda torre”, opera prima di Francesco Frangipane prodotta da Lucky Red in collaborazione con RAI Cinema e Sky Cinema; il film è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale scritto da Filippo Gili, qui in veste di sceneggiatore.
La vicenda prende le mosse da una tragica scoperta che spezza la tranquillità di una famiglia: entrambi i genitori sono affetti da una grave malattia genetica e i due figli, per via di un’incompatibilità nella donazione del midollo, si trovano costretti a dover scegliere a quale dei due genitori salvare la vita.
Fulcro dell’intera pellicola è dunque l’angoscioso dilemma che affligge i due fratelli gemelli nella scelta a cui sono chiamati, che li obbliga a confrontarsi con il loro passato, con le loro parti più istintive, oltre che con le conseguenze morali scaturenti dalla loro decisione, qualunque essa sia.
Il film, premiato come miglior opera prima italiana del 2023 dall’Associazione Amici di Luciano Sovena, ha il merito di mettere in scena temi di natura universale come la vita e la morte calandoli però nelle dinamiche del quotidiano e in un contesto familiare; ed è proprio questo che consente allo spettatore di immedesimarsi nella vicenda e vivere come proprio un conflitto inconciliabile che non offre soluzioni.
La trasposizione cinematografica è senz’altro valorizzata dall’eccellente prova attoriale dei protagonisti: Vanessa Scalera risulta particolarmente a fuoco in questa affannosa ricerca della risposta giusta, grazie alla sua capacità di donare al personaggio una forte componente istintuale, rabbiosa, decisamente autentica; ottima interpretazione anche quella di Edoardo Pesce, al quale viene affidato un ruolo più schivo, meno fuori dalle righe.
“Dall’alto di una fredda torre” è un film che lascia allo spettatore più domande che risposte, forse perché la verità è che non esiste una scelta giusta o sbagliata, qualsiasi decisione venga presa salverà sì una vita ma ne condannerà comunque un’altra. Tanto vale allora non scegliere. Cosa fare, però, se si è obbligati a farlo?
Sono questi i percorsi che affollano i pensieri dei protagonisti e del pubblico in sala nel corso dei 90 minuti della narrazione, caratterizzati dall’alternanza di silenzi e dialoghi concitati. Un moto incessante simboleggiato dalla corsa infinita e senza direzione del cavallo di Antonio (Edoardo Pesce), fuggito dalla cascina. Ben scritti ed interpretati anche i ruoli dei genitori apparentemente ignari del proprio destino (Anna Bonaiuto e Giorgio Colangeli), e dei due medici (Elena Radonicich e Massimiliano Benvenuto), combattuti nel tentativo di conciliare compassione ed etica professionale.
L’esordio alla regia di Francesco Frangipane porta in scena quella che può a tutti gli effetti definirsi una tragedia moderna dalla dimensione domestica, in cui la ricerca della soluzione migliore per provare a convivere con i propri sensi di colpa fa da protagonista.
Punti di forza del film, oltre a quelli già citati, sono le dinamiche che si sviluppano tra i membri della famiglia, ricche di complicità, affetto, ma anche di scontri e ombre del passato. I punti più deboli, invece, derivano probabilmente dal passaggio dal palcoscenico al grande schermo, che lascia allo spettatore l’impressione che si potesse osare di più, sfruttare meglio le premesse iniziali e indagare ulteriormente i percorsi interiori dei singoli personaggi.
La sensazione finale, nel bene e nel male, è un misto di impotenza e spaesamento: sembra di restare avvolti dalla stessa nebbia che circonda i due protagonisti nella locandina della pellicola.