Roma. Fra arte visiva e performance, tre lavori che mescolano indagini sul campo storico-forense, dispositivi tecnologici installativi, tematiche politiche, teatro, danza e robotica. Per la prima volta, da oggi 24 novembre e fino al 26, il Centro Nazionale di Produzione della Danza “Orbita | Spellbound” – la cui programmazione è curata da Valentina Marini – presenta il lavoro di Arkadi Zaides, artista multidisciplinare di origini bielorusse, residente in Francia e docente in Belgio. Un’imperdibile occasione per scoprire l’opera di un artista internazionalmente riconosciuto per la vocazione a denunciare sul palcoscenico le più roventi questioni riguardanti diritti umani, per la capacità di fare luce sulle paure esistenziali dell’umanità e di portare in primo piano le grandi tematiche di un mondo in procinto di collassare. “Presentare una pratica artistica come quella che propone Arkadi Zaides, per un Centro Nazionale di Produzione della Danza vuol dire fare i conti con tutto quello che i corpi – e non solo la loro pratica coreografica ma anche la loro memoria, cosi come la loro assenza o il loro (ab)uso – suggeriscono in termini di riflessione, cosi come di responsabilità, in un momento storico dove la scena contemporanea deve recuperare fortemente questo valore, per restituire alla società il senso del Teatro come specchio del presente” – commenta Valentina Marini a proposito della “coreografia documentale” di Zaides, basata sul rapporto fra corpi e archivi storico-politici. Tre i progetti presentati fra Teatro Biblioteca Quarticciolo, Teatro Palladium e Spazio Rossellini: “The Cloud”, che affronta di petto le tematiche legate alla crisi climatica partendo da uno dei più grandi disastri ambientali nella storia recente: l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl; “Talos” incentrato sul rapporto fra tecnologia, pratiche di sorveglianza e movimenti migratori; e, infine, “Necropolis”, un lavoro che aspira a ridare dignità alle migliaia di migranti morti senza nome ai confini dell’Europa. “Il mio interesse si concentra su archivi molto specifici, quelli che documentano questioni politiche, in particolare legate ai territori di confine. Potremmo dire che sia Talos che Necropolis affrontano l’idea di confine politico, mentre The Cloud affronta un altro tipo di confine, quello tra il corpo e l’esterno. Quando l’esterno diventa pericoloso, la pelle diventa il confine. C’è quindi un tentativo di affrontare un certo problema sistemico e di vedere come la pratica artistica possa rispondere a queste realtà, evidenziando alcuni aspetti che potrebbero anche portare il pubblico a interrogarsi sulla propria responsabilità, sulla propria implicazione, sulla propria partecipazione a questo tipo di sistemi” – sostiene Zaides. Si parte oggi al Teatro Biblioteca Quarticciolo con la prova aperta di “The Cloud”, una prima restituzione al pubblico della nuova creazione di Zaides, in residenza a Roma dal 20 novembre. “The Cloud” mette sotto la lente d’ingrandimento la catastrofe di Chernobyl seguendo il movimento effettivo della nube radioattiva, le sue ricadute e il pericolo che rappresenta ancora oggi per l’uomo. Una nube indagata anche come nuvola di dati che conduce la coscienza collettiva verso uno stato di paranoia e panico e immaginata come un “iper-oggetto”, ovvero – secondo le parole del filosofo britannico Timothy Morton – un elemento “massicciamente distribuito nel tempo e nello spazio rispetto agli esseri umani” che porta l’umanità a un collasso ecologico totale. Subito dopo la performance, l’incontro con l’artista a cura di Andrea Pocosgnich di Teatro e Critica. Lo spettacolo – che prevede una ricerca territoriale sul campo al fine di rintracciare le morti di persone migranti, ricostruendone le vite, nonché geolocalizzandone le sepolture – nasce da una premessa precisa: a causa di uno squilibrato rapporto fra persone morte durante i movimenti migratori e risorse, pratiche e dinamiche burocratiche dell’Unione Europea, le procedure che consentono l’identificazione dei cadaveri spesso non viene neppure eseguita. In fondo al mare, sulle coste e nell’entroterra, una massa di corpi decomposti racconta dunque la storia di un soggetto collettivo il cui fantasma aleggia sul territorio europeo. Per ridare dignità a queste persone, Arkadi Zaides e il suo team si addentrano nella pratica forense in ogni città che il progetto attraversa, costruendo un nuovo deposito virtuale che documenta i resti di coloro la cui morte è ancora oggi per lo più sconosciuta. Uno struggente archivio in crescita continua che attraversa lo spazio e il tempo mettendo in relazione mitologie, storie, geografie e anatomie di quei corpi ammessi in Europa come cadaveri. E anche se nella Città dei Morti non c’è più nessun corpo che possa danzare, è proprio quel corpo dei corpi che Zaides intende riportare in vita.