Udine. Al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, venerdì 24 novembre alle ore 21, si è tenuto l’unico concerto in Friuli-Venezia Giulia del tour autunnale di Vinicio Capossela, “Con i tasti che ci abbiamo”, con il quale l’artista si conferma come uno dei pochi veri cantautori italiani in circolazione.
Il suo è un concerto carico di amore, di quello puro, autentico verso l’umanità, soprattutto verso gli ultimi, e il pubblico in sala attento e partecipe, particolarmente composto e da sempre impegnato nelle battaglie sociali come quello di Udine, lo accoglie tutto e glielo restituisce sfarfallando le mani in alto, battendole in continui applausi, il più lungo quello seguito a “La cattiva educazione” dedicato a Giulia Cecchettin e a tutte le donne vittime di violenza, per poi ballare sul finale a suon di “Marajà”.
Al di fuori e oltre le logiche commerciali, Capossela alterna una varietà di generi musicali, sonorità e ritmi differenti per rendere meglio quella che è la sua denuncia sociale, dove centrale è la parola: parlata, cantata, talvolta recitata perché è avvertita come necessità quella di spiegare, di far capire il sottotesto di ogni canzone nell’eventualità non dovesse risultare sufficientemente chiara e la musica, la scelta di un genere piuttosto che un altro, non è casuale ma vuole essere di supporto al mood.
Su un palcoscenico minimalista, in cui la scenografia è costituita solo da semplici luci ma di grande effetto, il cambio di personaggio lo evidenzia pure con la sostituzione del copricapo, che dice “gli serve per tenere i ricordi”, oggetto che come ogni cosa, lì, parla di lui e per lui.
E così nella prima parte Capossela, con le sue “tredici canzoni urgenti” che danno il nome all’album e pure al tour, manifesta l’urgenza etica, educativa, esistenziale, di una nuova uguaglianza, di verità di cui ha bisogno la nostra società. E lo fa attraverso quelle canzoni nate tra febbraio e giugno del 2022, con le quali l’artista auspica un risveglio della coscienze, manipolate dal sistema dell’informazione con una comunicazione del terrore, attraverso eventi spettacolari di volta in volta diversi: la minaccia del terrorismo islamico, la crisi economica, l’immigrazione, la pandemia prima, la guerra poi; il risultato è che ciascuno, controllato anche sul piano emotivo, resta esanime sul divano dove sopravvive con qualche ordinazione a domicilio.
Il ritmo è inizialmente sincopato con “Sul divano occidentale” quasi a destare l’attenzione degli ascoltatori su tutto quello che accade quotidianamente intorno, a cui siamo assuefatti. Quando pare, invece, che l’unico interesse generale sia quello di mangiare, nella formula “All you can eat”, che è anche il titolo del secondo brano swing in scaletta, si nasconde un modello di consumo della socialità, che conduce all’incapacità di essere padroni della propria volontà, terreno fertile per il fiorire di poteri dittatoriali.
Ne “La parte del torto”, in stile western, chiaro è il riferimento a Bertold Brecht, ma per Capossela la distinzione tra borghesi e proletari non esiste più perché i bisogni degli ultimi sono stati tra-sformati in paura dell’altro, legittimando “gli istinti più bassi, la legge del più forte, il razzismo e ogni forma di discriminazione nel nome della maggioranza e della Nazione”.
Ludovico Ariosto è evocato in “Ariosto Governatore”, una ballata ispirata alle lettere di quando era governatore in Garfagnana, e nella “Gloria all’Archibugio”, una marcia rinascimentale.
“Staffette in bicicletta “ è invece una filastrocca cantata con Mara Redeghieri, in cui racconta il lato più umano della Resistenza, attraverso quelle donne che tenevano in vita la linea del fronte fornendo cibo, vestiti, assistenza logistica ma soprattutto calore umano.
Infine, dopo il suo cavallo di battaglia “Che coss’è l’amor” e la dolcissima “Non è l’amore che va via”, unico ambito a dire il vero in cui ritiene che le parole non servano, che non serva spiegare, ha chiuso queste tre ore in cui ha generosamente condiviso tutto se stesso con “Con i tasti che ci abbiamo”: un abbraccio ideale col suo pubblico dopo aver preso coscienza ciascuno dei propri limiti, delle proprie consapevolezze, bisogna, canta: “fare di un limite una possibilità…con il cuore che ho con quello ti amerò”.
Una volta chiuso il sipario, in sala è rimasta una grande emozione: e se questo amore non è amore, allora che cos’è?
Crediti foto: Jean-Philippe Pernot.