Milano. Dal 12 al 17 dicembre, al Teatro Grassi, va in scena “Il Ministero della Solitudine” di lacasadargilla, con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni.
Una scrittura originale di, con e per cinque attori (Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano), ispirata a una notizia di cronaca, per indagare la malattia di un’intera epoca.
Dalla cronaca internazionale: nel gennaio del 2018, la Gran Bretagna ha nominato ufficialmente un Ministro della Solitudine, il primo al mondo, per far fronte ai disagi che questa può̀ provocare a livello emotivo, fisico e sociale. L’anno successivo viene inaugurato il relativo Ministero, “istituzione dalla natura politicamente ambigua e dalle finalità incerte”.
A partire da questa vicenda, la compagnia lacasadargilla inaugura una riflessione su un luogo – reale e immaginifico – capace di operare con linguaggi e dispositivi narrativi intorno ai desideri, ai rimossi e alle immaginazioni di un’epoca che sempre più̀ richiede di ragionare con cura sulle comunità dei viventi. Una scrittura originale di, con e per cinque attori, strutturata per flash, incontri, incidenti e costituita da partiture fisiche all’orlo di una danza. Una storia che indaga la solitudine innanzitutto come incapacità̀, difficoltà del desiderio – oggetto non controllabile per definizione – a trovare una corrispondenza, avendo in sé una speranza troppo alta, spericolata o eccessiva, per potersi mai realizzare. O ancora quella solitudine in cui si sprofonda perché ciò che è successo è irrecuperabile e non interessa a nessuno.
«Come si classifica una persona sola? C’è un “sussidio di solitudine”? In cosa consiste e chi ne ha diritto? Con cosa bisogna coincidere per essere definiti soli e dunque appartenere a una categoria riconosciuta? – si domanda lacasadargilla – È lo scandalo della solitudine. È l’affollamento degli assenti nelle nostre vite, siano essi vivi, deceduti, spettri o la nostra moltitudine degli incontri mancati. Solitudine tutta contemporanea, di un’allegrezza insidiosa e irragionevolmente lieve. Solitudine come atlante di ricordi, catalogo di gesti, per percorrere il mondo e trattenere qualcosa di un noi; solitudine incarnata in alcuni oggetti, quasi dei kit di sopravvivenza: uno scatolone con tutta la vita dentro, un barattolo di miele fatto in casa, una pianta di plastica verde acceso, un set da pic-nic pronto all’uso, come se fossero ‘sacche di storie’, utensili eccessivi e numinosi per un’esistenza fuori dal normale».
Crediti foto: Claudia Pajewski.