Roma. “Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte. Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri” è il titolo della mostra che si è appena conclusa alle Scuderie del Quirinale per celebrare il centenario della nascita dello scrittore. L’esposizione ha consentito ai visitatori di fare un viaggio nell’immaginario di uno dei più preziosi tra i classici del Novecento italiano: ben curata e ricca di contenuti, pur seguendo uno sviluppo cronologico attraverso la vita, il lavoro e la mente di un genio, non è apparsa biografica, suggerendo invece letture molteplici e lasciando allo spettatore la libertà di interpretare i diversi materiali offerti. Oltre quattrocento oggetti, tra scritti, dipinti, sculture, disegni, illustrazioni, libri, codici miniati medievali e installazioni contemporanee, ma anche arazzi e fotografie, hanno messo in scena tutta la complessità di Calvino: scrittore, traduttore, affabulatore, appassionato di cinema e fumetti, militante, ecologista, si tratta senza alcun dubbio del più visionario scrittore del secolo scorso. Forse, però, visionario non era abbastanza e il titolo dell’esposizione, infatti, lo ha definito favoloso, citando il “Fabulous Calvino” dell’articolo di Gore Vidal apparso sulla “New York Review of Books” nel 1974, in occasione della traduzione in inglese di “Le città invisibili”. «Favoloso Calvino. Calvino straordinario, certo: lo hanno decretato milioni di lettori, in Italia e nel mondo. E Calvino favolista e cultore del meraviglioso, ma anche scrittore capace di far interagire l’osservazione e la fantasia, l’attenzione alla realtà e la trasfigurazione fiabesca», scrive Mario Barenghi, curatore della mostra nonché docente di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Milano Bicocca e tra i maggiori studiosi dell’opera dello scrittore, nel saggio introduttivo al catalogo della casa editrice Electa. La mostra, attraverso varie sezioni, ha permesso di entrare nell’infinito universo calviniano attraverso una narrazione in grado di combinare la vita e le esperienze dell’autore con la letteratura e i caratteri del suo immaginario, di fondere così l’uomo e l’autore, ma anche l’arte e la letteratura, riuscendo in un’impresa che era quasi impossibile. C’erano, quindi, l’infanzia a Cuba e l’adolescenza ligure, i testi e i materiali relativi all’attività dei genitori di Calvino nei campi della botanica e dell’agronomia; i riferimenti al cinema degli anni Trenta, passione del giovane Italo; la sua formazione, con l’esperienza fondamentale della Resistenza e la militanza politica. Si arrivava, quindi, al Calvino della letteratura, quello dei primi articoli e racconti e quello della casa editrice Einaudi, di cui fu figura dominante per decenni, procedendo, poi, verso uno degli aspetti più significativi del suo raccontare, ovvero la commistione fra realismo e fantasia: da “Il sentiero dei nidi di ragno” alla trilogia de “I nostri antenati” fino alle “Fiabe italiane” del 1956. Tra manoscritti, prime edizioni e altri oggetti riconducibili all’autore, la mostra presentava molte altre opere legate a Calvino, quelle che lo hanno ispirato e quelle ispirate dai suoi libri a dimostrazione del forte legame con le arti visive e le immagini, fonte primaria della sua scrittura e dell’interpretazione del mondo. C’erano i ritratti che gli fece Carlo Levi, dal 1959 al 1965, mostrando ogni anno un volto diverso dello scrittore, le fotografie di Luigi Ghirri, le sculture di Fausto Melotti, i dipinti di Giorgio de Chirico, ma anche Emilio Isgrò, Giuseppe Penone, Luigi Serafini, Tullio Pericoli: “Favoloso Calvino” si presentava come un paesaggio ricco di suggestioni in cui immergere e smarrire lo sguardo, come nel grande arazzo Millefiori di Pistoia, capolavoro dell’arte rinascimentale presente nell’esposizione, intreccio di fiori, piante e animali fantastici. Non sono mancate, inoltre, le copertine dei suoi libri, con scelte mai casuali, come gli amati Klee e Picasso, né i tarocchi, col loro linguaggio simbolico; e poi i racconti cosmicomici, “Il castello dei destini incrociati”, la sua opera più vicina all’esperienza dell’OuLiPo e “Le città invisibili”, fino ad arrivare all’ultima sala con il tema “Cominciare e ricominciare” quasi a ricordare i nuovi progetti che Calvino aveva in cantiere al momento della sua scomparsa. Qui un’opera di Giulio Paolini s’incentrava sullo sguardo di Calvino, dominante filo conduttore della mostra, là dove lo stesso scrittore diceva: «L’unica cosa che vorrei poter insegnare è un modo di guardare, cioè di essere in mezzo al mondo». Usciti dalle Scuderie del Quirinale si poteva, infine, ammirare un altro lavoro di Paolini, l’opera di luce “Palomar”, dedicata a Italo Calvino e al suo doppio, Palomar appunto, funambolo nel cosmo celeste, e terminare così la visita, attoniti e sognanti, con lo sguardo verso il cielo.