“Dammi un attimo”, la pièce che si interroga sapientemente sul contrasto generazionale

Napoli. Che cos’è la normalità? Come o quando può una coppia definirsi normale? Quando entrambi hanno un lavoro sicuro e mettono su famiglia? A questi interrogativi prova a dare risposta “Dammi un attimo” di Francesco Aiello e Mariasilvia Greco, anche interpreti con Elvira Scorza, in scena da giovedì 7 marzo alle ore 20.30 (repliche fino a domenica 10) al Teatro Elicantropo di Napoli. Presentato da Teatro del Carro, l’allestimento racconta di Francesco e Silvia, incapaci di immaginarsi genitori nel mondo della precarietà, di riconoscere se il proprio momento è arrivato, e di Maria, sorella di Francesco, che con la sua esperienza di maternità e con la sua leggerezza metterà costantemente in discussione il loro punto di vista. Francesco e Silvia percepiscono la distanza fra un tempo personale e il tempo assegnato dalla società, ma tentano di colmare quel vuoto affidandosi a ciò che è considerato normale. La proposta di fare un figlio da parte di Francesco provoca un vero e proprio terremoto, poiché egli riversa nella possibilità di un figlio il proprio riscatto, anelando un futuro finalmente libero dal peso di suo padre. Silvia percepisce quella possibilità come un’intrusione nel suo corpo, nella sua vita, nei suoi progetti, iniziando così dentro di sé una dura lotta con quel modello femminile di madre tramandatole, e del quale vuole conservare ciò che realmente sente che le appartiene. Ma come definirsi normali? Qual è oggi il parametro della normalità? Spesso sembra che coincida con il mettere le radici in un luogo, in una persona, in un ingranaggio, essere, insomma, stabili. I due appartengono a una generazione che, a dispetto dei loro genitori, questa stabilità la disprezza e nello stesso tempo la invoca, che si auto-sabota con le proprie paure, ma che vuole con tutte le forze conquistare un proprio spazio. Ridefinire i modelli sociali nei quali non si riconoscono, costruire relazioni sincere che non subiscano imposizioni esterne, richiederà loro uno sforzo di comprensione reciproca, un’accettazione amorosa delle fragilità di ciascuno. Così il verbo rimandare da imperativo morale viene gradualmente accantonato, sorgeranno domande mai poste e la possibilità di una famiglia acquista contorni diversi. Il loro stare insieme si nutrirà di un senso nuovo perché se come prima non possiamo più Essere allora bisognerà Essere, ma in un altro modo.

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