Napoli. Sabato 2 marzo al Teatro Mercadante è andato in scena lo spettacolo “Cecità” nato dall’idea di Virgilio Sieni, che ne ha curato anche la coreografia, questa sera in replica.
Si tratta di una coproduzione del Centro Nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni, della Fondazione Teatro Piemonte Europa e della Fondazione Teatro Metastasio di Prato.
Gli interpreti sono i ballerini Jari Boldrini, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Lisa Mariani, Andrea Palumbo e Emanuel Santos, musica originale di Fabrizio Cammarata, luci di Andrea Narese e Virgilio Sieni, al suono Mauro Forte, costumi ed elementi scenografici sono di Silvia Salvaggio mentre le maschere di Chiara Occhini.
Sebbene sul flyer della serata sia precisato che si tratti di uno “spettacolo liberamente ispirato al romanzo Cecità” dell’autore José Saramago, è parso invece una vera e propria transcodificazione di detto testo letterario, con cambio di medium, perché si è passati dal mezzo espressivo scritto a quello della danza.
Al pari del romanzo, la narrazione è ambientata in un luogo e in un tempo indefinito, volendo rappresentare la società contemporanea divenuta cieca per avere perduto il senso di solidarietà, assumendo così la storia una valenza universale.
Lo storytelling si articola in tre quadri della durata di circa 20 minuti ciascuno: il primo vede l’utilizzo esasperato della musica e delle luci con proiezioni su un telo opaco che separa il palco in due terzi, in corrispondenza del boccascena. Dietro al telo opaco si muovono i sei danzatori di cui si vedono le ombre o le sagome, talvolta invece i loro corpi sono più definiti, come gli oggetti che alzano sopra la testa.
Nel secondo quadro, il telo opaco si trasforma in una garza trasparente che separa sempre i protagonisti dal pubblico, questa volta però consente di vedere in maniera nitida gli interpreti.
Questi ricordano gli internati in manicomio di Saramago, che hanno fatto tabula rasa delle prece-denti convenzioni, regredendo in una società istintiva, fatta della sopraffazione del più forte.
C’è prima una guerra di tutti contro tutti – ed ecco allora uno scontro /incontro tra i corpi che si muovono in maniera spasmodica – per poi arrivare a soggiogare la collettività che si muoverà in maniera convulsa quasi all’unisono, con movimenti scomposti di un corpo di cui mostrano tutto il peso che avvertono, trasformandolo in strumento drammatico.
L’autore ha fatto proprio il pessimismo antropologico del Premio Nobel, tant’è che il terzo e ultimo quadro con le morbide quinte sceniche di tessuto, diventate un bianco latte, contrasta con la messa in scena della malvagità resa mediante l’utilizzo di due maschere da lupo, indossate dai danzatori, richiamando in questo modo il concetto plautino “Homo homini lupus”, ripreso da Hobbes per indicare l’egoismo come principale caratteristica dell’uomo.
A questo poi si unisce la comparsa di un uomo e una donna carichi di buste della spesa colorate, che pare ricordare l’episodio del razionamento del cibo da parte dei ciechi malvagi che tengono gli altri internati in uno stato di fame perenne, accentrando nella loro camerata tutti i cibi che vengono portati dall’esterno e lasciando deperire quelli che per loro sono di troppo: la fame nella struttura non è dunque dovuta ad una mancanza reale di cibo, quanto piuttosto alla brutalità e all’egoismo di chi detiene il potere di distribuirlo.
A differenza del poeta portoghese, “Cecità” del Mercadante non individua alcun personaggio positivo tra i ciechi e quindi nessuna possibilità di salvezza, tant’è che aumentano le maschere di animali che vanno a ricoprire metà busto dei danzatori, per poi non rimanere neanche un solo essere umano.
Cosa li ha resi ciechi, è detto nel primo quadro, dalle poche parole sussurrate o bisbigliate ansimando: la paura.