Roma. Fino al 10 marzo, al Teatro Sistina di Roma, è andato in scena “Natale in Casa Cupiello” in un nuovo adattamento che vede come protagonisti Vincenzo Salemme nel ruolo di Luca Cupiello e Antonella Cioli nei panni di Concetta. È passato ormai quasi un secolo dalla prima volta in cui l’opera è stata presentata al pubblico al Teatro Kursaal di Napoli: nei successivi anni la commedia è stata rimaneggiata dallo stesso De Filippo per caratterizzare ulteriormente i componenti della famiglia, è stata registrata e trasmessa dalla Rai la sera di Natale del 1977 e ad oggi rappresenta, a tutti gli effetti, un vero e proprio classico della tradizione natalizia del nostro Paese.
La storia la conosciamo tutti: sullo sfondo di una Napoli degli anni ’40, a due giorni dal Natale, la famiglia Cupiello si prepara a celebrare la vigilia dando vita a dinamiche e intrecci relazionali che portano in scena alcuni temi universali come amore, reputazione, segreti e gelosia.
Salemme decide di omaggiare una delle opere più celebri di De Filippo dimostrando piena consapevolezza del valore culturale della sua eredità. Ecco che in questa nuova rivisitazione convivono armonicamente tradizione e innovazione, binomio necessario al fine di restituire intatto il valore del testo originale, rendendolo allo stesso tempo maggiormente vivace e contemporaneo.
Del resto, Salemme ha conosciuto il proprio maestro ormai 46 anni fa proprio facendo la comparsa durante la registrazione per la Rai di “Natale in casa Cupiello”, che lo stesso attore definisce come la commedia “più bella, più amara, più divertente, più sentimentale, più intensa, più malinconica, più festosa e struggente della storia”.
Ciò che maggiormente colpisce lo spettatore è la sua capacità di riuscire a coinvolgere il pubblico con grande naturalezza e senza mai eccedere, restando quasi un passo indietro rispetto alla stessa Opera. Salemme conserva intatta la sua meraviglia di spettatore rispetto al testo che porta fedelmente in scena, interagisce con il pubblico delle prime file e a tratti fatica anche lui a trattenere le risate durante i passaggi più esilaranti.
A rendere ancora più suggestiva l’atmosfera contribuiscono proprio gli spettatori presenti in sala. Raramente, infatti, capita di assistere ad una partecipazione così calorosa da parte del pubblico: il teatro Sistina era gremito nonostante si trattasse di una replica infrasettimanale, moltissimi gli applausi a scena aperta e le battute degli attori erano spesse anticipate dalle voci che si levavano dalla platea.
L’interpretazione di Salemme nei panni del malinconico “Lucariello” alle prese con le promesse disilluse della vita suscita un forte senso di empatia in chi osserva, così come l’evidente intesa con Antonella Cioli, che nel ruolo di Concetta è capace di trasmettere tutta la forza e la fragilità di una madre nel tentativo di scongiurare il pericolo di una disgregazione familiare, non facendo mai rimpiangere la storica interpretazione di Pupella Maggio.
Non solo i protagonisti ma tutto il cast dimostra, nel suo complesso, un altissimo livello attoriale, regalando interpretazioni molto a fuoco come quelle di Antonio Guerriero nei panni di Tommasino e Franco Pinelli nel ruolo di Zio Pasqualino, che valorizzano sia emotivamente che tecnicamente il testo di De Filippo.
Semplice ma molto ben curata la scenografia di Luigi Ferrigno che ricrea le atmosfere e gli ambienti degli anni ’40, così come i costumi di Francesca Scudiero e il disegno luci di Cesare Accetta, particolarmente efficace durante la scena finale. Se a ciò si aggiunge la colonna sonora firmata da Nicola Piovani, il risultato finale non può che trasportare emotivamente lo spettatore tra i vicoli di San Gregorio Armeno e San Biagio dei Librai.
Grazie alla sua capacità di rievocare tradizioni e atmosfere che appartengono ormai al nostro patrimonio collettivo come quella della preparazione del presepe, la commedia riesce a trascendere i tempi e ad intrattenere un pubblico abbastanza eterogeno per oltre 120 minuti così serrati che sembrano volare.
De Filippo continua così a parlare ad ogni generazione: lo fa attraverso un testo che trasuda tutta l’eredità artistica e culturale partenopea ma che riesce ad essere ancora attuale, e lo fa soprattutto attraverso la credibilità e il talento di Vincenzo Salemme, un talento che non è solo tecnica ma è anche (e soprattutto) cuore, attaccamento viscerale alla tradizione del teatro napoletano che lo stesso attore definisce come inesauribile fonte di ispirazione.
Sul finale l’attore si rivolge al pubblico, si mostra commosso, manifesta la sua meraviglia nel trovare ogni sera, davanti a sé, un teatro sempre pieno, a dimostrazione che non può esistere esperienza digitale capace di replicare la necessità di condivisione e scambio dell’essere umano, la sua voglia di prendere parte ad un rito collettivo che oggi ci appare sempre più prezioso e irripetibile.
Finite le repliche romane, lo spettacolo sarà in scena a Bologna dal 14 al 17 marzo e poi a Firenze dal 21 al 24 per il gran finale.
Crediti foto: Anna Camerlingo.