Napoli. Domenica 17 marzo al Teatro Sannazzaro si è tenuta l’ultima replica di “Le cinque rose di Jennifer” con Geppy Gleijeses nella doppia veste di Jennifer e di regista e Lorenzo Gleijeses che ha indossato i panni della vicina Anna.
Per realizzare questa messa in scena di una delle opere più famose di Annibale Ruccello, che vede protagonisti due travestiti, il regista con grande rispetto per la condizione umana è partito dal significato della parola travestito e dal ruolo dell’attore.
Perché se si intende con questo termine un omosessuale maschile che si veste da donna e, talvolta, si prostituisce e, a sua volta, se l’attore – qualunque sia il ruolo interpretato – diventa altro da sé e per farlo indossa i panni morali e materiali di qualcun altro, allora bisogna – dice il regista – “cercare di rendere il dramma quanto più realistico possibile, già nell’allestimento della scena”.
Qui, infatti, è stato reso l’interno di una casa popolare della 167 di Napoli, a farla individuare con precisione è l’immagine delle due vele in nero seppia che fanno da scenografia.
Sulla destra del palco c’è un piccolo lavello e una piastra elettrica dove Jennifer prepara veramente il caffè e la salsa di pomodoro, di cui arrivano gli aromi agli spettatori seduti in prima fila, per poi accomodarsi al tavolo da pranzo posizionato al centro del palco dove mangia le melanzane a funghetto e un crocchè di patate da asporto.
Realismo nell’allestimento dello spazio scenico, come nella mimica e nel tono adoperato sia da Jennifer che dalla camaleontica Anna, per evitare di rendere caricaturali “figure deportate” che già interpretano per definizione un ruolo diverso e ulteriore rispetto a quello che la natura ha loro attribuito.
Ricerca necessaria per Geppy Gleijeses per avvicinarsi all’universo di Annibale Ruccello e alla sua storia che non deve straniare ma ricondurre al proprio Io.
Jennifer manifesta a questi interlocutori telefonici immaginari tutte le possibilità raggiunte e mancate in attesa della telefonata di Franco, ingegnere genovese che definisce pazzo di lei, che però non si fa sentire da tre mesi.
E attraverso quel telefono che squilla in continuazione e che rappresenta l’unico contatto con l’esterno, lei manifesta a se stessa la sua condizione di attesa che separa il suo Io da tutti i suoi “possibili Io”, racchiusi nei gesti non fatti e ancora da fare, nelle parole non dette e ancora da dire, insomma, da tutti quegli atti mancati nella rappresentazione di tutto ciò che non è mai riuscita ad essere, a cui però tende e a cui si relaziona nei suoi dialoghi interiori.
Oltre al telefono c’è la radio, sempre sintonizzata su Radio Cuorelibero, alla ricerca di canzoni di amori disperati, con la quale dialoga a senso unico e, tra un messaggio d’amore e una dedica musicale, si inserisce più volte la notizia che nel quartiere sono stati commessi vari omicidi di travestiti.
Bussano alla porta, è Anna, un altro travestito che vive nel quartiere, pieno di una latente aggressività che emerge quando scopre che la sua gatta è stata barbaramente uccisa e a sua volta aggredisce Jennifer che finisce per cacciarla di casa.
La donna, però, una volta che va via la luce e il telefono è muto si sente persa ed è sopraffatta dalla disperazione, così davanti allo specchio della toilette scopre il suo vero volto, al pari dell’attore che si spoglia dei panni del personaggio, per finire morta suicida con un colpo di pistola sparato in bocca.