Napoli. Ieri 23 aprile ha debuttato al Teatro Mercadante “Zio Vanja Progetto Čechov seconda tappa ”, in scena fino al 28 aprile.
Questo atto unico della durata di 1 ora e 45 minuti, finalista Ubu 2023 come migliore regia, è frutto di una coproduzione del Teatro Stabile dell’Umbria, dello Stabile di Torino, di quello Nazionale e dello Spoleto Festival dei Due Mondi.
Già il sottotitolo “progetto Čechov seconda tappa” è indicativo del piano orchestrato dal regista piacentino Leonardo Lidi, considerato – a ragione – uno dei più talentosi giovani registi teatrali italiani, oltre che apprezzato attore.
Questi nel luglio del 2022 aveva portato al Festival di Spoleto “Il gabbiano” di Čechov, primo atto della sua trilogia nel segno del drammaturgo russo, proseguita con un altro classico dell’autore russo, “Zio Vanja” appunto, trilogia che si concluderà poi con “Il giardino dei ciliegi”.
Anche con “Zio Vanja” Lidi ha lavorato sulla forma perché l’opera risultasse comprensibile al pubblico, soprattutto a quello che in sala entra per la prima volta, così da consentirgli di confrontare il suo pensiero con quello dell’autore.
Allora, ha semplificato, modernizzato quel messaggio universale di Čechov, di cui resta immutato il senso dell’inutile affaccendarsi, della rassegnazione accompagnata dalla noia e dalla depressione di una città di provincia, dove i personaggi, concentrati su loro stessi, sanno solo lamentarsi, incapaci di reagire, in grado unicamente di stordirsi con la vodka e la morfina.
L’immobilismo è rappresentato dalla fissità dei volti e delle espressioni, spesso degli stessi corpi e dei loro movimenti, in fila su una panca di legno grigio al centro della scena, delimitata da un alto schienale dello stesso materiale e colore, ed è lì che si svolge tutto il racconto, che non ha bisogno di suppellettili e arredi, perché incentrato esclusivamente sull’animo umano, vuoto e spaesante come lo spazio circostante, dove solo le parole contano.
La storia è semplice, quasi banale: in una casa di campagna immersa nella foresta russa, Sonja e suo zio Vanja lavorano instancabilmente per portare avanti la tenuta di famiglia.
Il padre di Sonja, Alexander, è un famoso professore, sposato con una giovane e bella donna, che decide di trasferirsi nella tenuta e quella è l’occasione perché Vanja si renda conto di avere sprecato la propria vita per soddisfare i capricci di un uomo mediocre come il professore.
Sonja a sua volta si innamora del medico di famiglia, dal quale non è ricambiata, e che, invece, perde la testa a sua volta per la moglie del professore. Non c’é un lieto fine, si arriva però ad affermare che la noia di un’esistenza senza senso può essere combattuta solo con il duro lavoro. Non manca l’ironia che Čechov amava inserire qua e là, tanto per dissipare ogni sospetto tragico. In questo lavoro di Lidi emerge il profondo amore per il ruolo dell’attore.
Al centro, infatti, c’è questo gruppo di bravi attori (Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna) che sono stati selezionati con cura, di tutte le generazioni, provenienti da percorsi molto differenti tra di loro, così da ottenere – come ha dichiarato il regista stesso – “una compagnia che fosse, in qualche modo, “metafora” del teatro italiano”.
Così da diventare le sue messe in scena, oltre che interpreti del teatro classico, anche espressione di una riflessione sul “fare teatro” che in “Zio Vanja” si interroga su quale sia il rapporto tra attore e spettatore, e quanto riesca il primo a essere “significativo” per il pubblico e per la società.
Delle opere classiche per il regista bisogna sì impossessarsi, ma perché poi diventino il viatico per la scrittura di nuovi testi contemporanei.
Crediti foto: Gianluca Pantaleo.