Roma. A distanza di quasi un anno dal sold out registrato allo Stadio Olimpico, i Pooh tornano a Roma per due concerti esclusivi alle Terme di Caracalla, inaugurando una tournée estiva che per tre mesi toccherà le location più suggestive del nostro Paese.
Lo show si apre con l’iconico brano che dà anche il titolo alla tournée, “Amici per sempre”, con il pubblico che inizia ad alzarsi in piedi per applaudire l’ingresso di Roby Facchinetti, Red Canzian, Dodi Battaglia e Riccardo Fogli (seguiti dal nuovo batterista, Phil Mer, e dal tastierista Danilo Ballo).
È impossibile scrivere di un concerto dei Pooh senza utilizzare la parola “generazionale”.
Tra gli oltre tremila presenti che affollano la platea ci sono persone di tutte le età: coppie, gruppi di amici, genitori e figli così come nonni e nipoti, uniti dalla stessa passione per dei brani eterni, che dal vivo rivelano un notevole impatto sonoro ancora più dirompente.
È altrettanto difficile raccontare, traccia per traccia, uno show con più di quaranta canzoni in scaletta, suonate interamente dal vivo senza nemmeno un momento di pausa, perché sarebbe impossibile restituirne le singole sfumature tecniche ed espressive.
Ciò che colpisce fin da subito è la presenza scenica di ciascuno dei componenti della band, che si muovono da una parte all’altra del palco donandosi al pubblico senza riserve e che nulla hanno da invidiare a colleghi molto più giovani. Nonostante la scelta di una scenografia più minimale del solito, concepita per offrire la maggiore visibilità alla location che ospita il concerto, la band non rinuncia alla presenza di schermi, giochi di luci, laser e fuochi d’artificio che da sempre accompagnano i momenti di maggior coinvolgimento di ogni loro concerto.
Ad eccezione di Riccardo Fogli, che dopo il primo brano lascia il palco per poi tornare nell’ultima parte dello show, la band resta in scena per tutta la sera, lasciando tuttavia spazio a momenti di valorizzazione individuale. Dodi Battaglia regala al pubblico degli assoli che sono ormai entrati a far parte della storia, come quelli di “Parsifal” e di “Dove comincia il sole”, e lo stesso fanno Roby Facchinetti e Red Canzian in pezzi come “Ci penserò domani” e “Pierre”.
I brani proposti, suddivisi per tematiche, fanno emergere tutte le sfumature stilistiche della band, dal progressive al pop melodico, passando per brani dall’impronta maggiormente cantautorale (come ricordato da Facchinetti, i brani incisi dai Pooh sono oltre 400). Al di là dei pareri personali, non si può non riconoscere alla band la capacità di aver saputo intercettare i gusti musicali più vari per quasi sessant’anni, attraendo un pubblico molto eterogeneo (ritorna ancora l’elemento generazionale) senza però seguire mai le mode del momento.
Il legame più forte tra i Pooh e il loro pubblico, però, è quello emotivo: è impossibile trovare anche solo una persona che non associ almeno uno dei brani in scaletta ad un momento ben preciso della propria vita, ed è proprio questo il potere delle canzoni capaci di raccontare storie non di ieri o di oggi, ma di sempre.
Non manca poi, come sempre, il ricordo di Stefano D’Orazio e del paroliere Valerio Negrini, alla cui memoria è dedicato ciascuno dei concerti della band; i due poeti sono ricordati e celebrati da una lunga standing ovation di tutto il pubblico di Caracalla e Stefano è anche “presente” nel penultimo brano in scaletta, “Dimmi di sì”, con la sua voce in diffusione e le immagini che scorrono nei maxischermi laterali.
Il concerto si chiude, dopo quasi tre ore, con i pezzi più famosi del repertorio della band, brani come “Uomini soli”, “Tanta voglia di lei”, “Pensiero” e “Chi fermerà la musica”, con il pubblico che le canta all’unisono e raggiunge il sottopalco per godere più da vicino delle ultime note che restano. E se la domanda è davvero “chi fermerà la musica?”, sappiamo che di certo non saranno gli inarrestabili Pooh, che sul finale annunciano a sorpresa che nel 2026 torneranno dal vivo per festeggiare i 60 anni dalla nascita della band, l’ennesimo traguardo di una storia senza con(fine).
Crediti foto: Francesco Marchese.