Napoli. Il 13 settembre il Teatro San Ferdinando ha aperto la nuova stagione teatrale 2024/2025 con “L’Ereditiera” di Lello Guida e Annibale Ruccello.
La versione è quella del 2023, della durata di 1 ora e 30, nata come esercitazione del III anno del corso accademico di I livello in Regia dell’allora allievo Fabio Faliero.
Oggi è una felice coproduzione della Compagnia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, con la supervisione artistica di Arturo Cirillo che nel 2004 ottenne il premio Ubu – l’Oscar del teatro italiano – proprio per l’adattamento della stessa opera.
Ora la rappresentazione vede la partecipazione di Vanda Colecchia, Eny Cassia Corvo, Marco Fanizzi, Luca Ingravalle, Eleonora Pace, Michele Scarcella, Sabatino Trombetta, scene Dario Gessati, costumi Maria Sabato, luci Pasquale Mari, elaborazione video Igor Renzetti, elaborazioni musicali Mario Autore e musiche originali Carlo de Nonno (Ed. Gennarelli Bideri).
Annibale Ruccello e Lello Guida, in uno dei testi ancora inediti, hanno voluto realizzare una parodia di “The Heires”, film del 1949 diretto da William Wyler, a sua volta tratto dall’omonimo dramma, scritto da Ruth Goetz e Augustus Goetz, ispirato dal romanzo “Piazza Washington” di Henry James del 1880.
La novità non è nella storia: Caterina Sloper ragazza timida e non propriamente bella, orfana di madre, è figlia di un ricco medico, dal quale riceverà un’ingente eredità. Attirato da questa prospettiva e con la complicità della zia, le si avvicina l’affascinante Felice Sciosciammocca, alias Morris Townsend, che però non riuscirà nell’intento.
La storia da Ruccello è stata trasferita sulla costiera sorrentina, i personaggi hanno assunto non solo il nome, ma anche le fattezze e i modi, tipici di quelli della commedia di Eduardo, di cui gli autori hanno sì raccolto l’eredità – la vera, non la narrata nella storia – per poi distaccarsi e andare oltre, portando sulla scena gli studi antropologici condotti da Ruccello, per sfuggire al “vortice omologatore” della modernità.
Viene narrato allora il momento in cui “l’omologazione” ha colpito la società degli anni ‘80, generando il caos nei napoletani per la fretta di equipararsi ad una realtà per loro innaturale, ottenendo un mix spesso divertente di napoletanità e modernità di massa, assorbito a fatica. Il risultato è così un ibrido sia nella lingua che nell’approccio alla realtà.
La messa in scena del Teatro San Ferdinando è risultata viva e vitale, a partire dall’inizio in forma di trailer, in bianco e nero come un vecchio film degli anni ’50, con i personaggi che sono saliti sul palcoscenico dalla sala presentandosi alla platea, i balletti che hanno introdotto le singole scene, che hanno coinvolto il pubblico molto attento e pronto a ridere alle singole battute.
Ci sono stati poi continui cambi di genere, che hanno messo a nudo le qualità artistiche a tutto tondo dei giovani attori, facendoli cimentare nel genere musical – con assemblaggi di brani e stili musicali diversi tra loro – nella sceneggiata, nella rivista oltre che nel dramma, realizzando così un perfetto connubio fra comico e tragico.
Tra tutti è ben riuscito e credibile il personaggio della zia Lavinia, stereotipo della vecchia zia zitella e romantica, protagonista di un esilarante monologo ma anche di momenti di malinconia e desolazione.
Lo spettacolo, secondo una visione circolare, si è chiuso con lo scorrere dei titoli di coda e la proiezioni di una frase di Ruccello sul cinema e il teatro.