Milano. Per la prima volta dalla morte del suo autore, Licia Lanera porta in teatro, allo Studio Melato dal 29 ottobre al 3 novembre, gli sfrontati e coraggiosi “Altri libertini” raccontati da Tondelli. Pubblicata nel 1980, “Altri libertini” è l’opera prima di Pier Vittorio Tondelli, giornalista, saggista, drammaturgo e scrittore scomparso nel 1991 a soli 36 anni. Con linguaggio vivo, crudo e a tratti sperimentale, racconta le storie di giovani, spesso ai margini della società, in cerca di una propria identità nell’Italia della fine degli anni ’70. Un’opera talmente rivoluzionaria e spudorata – fu addirittura sequestrata per oscenità – da affermarsi rapidamente come manifesto di un’intera generazione, contribuendo ad annoverare lo scrittore emiliano tra gli autori più importanti della letteratura contemporanea. Dei sei racconti che compongono il volume – “romanzo a episodi” lo definiva Tondelli – Licia Lanera ha scelto di lavorare su “Viaggio, Altri libertini e Autobahn”, incrociandoli a creare un’unica narrazione che la vede in scena al fianco di Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Roberto Magnani. “Perché ho scelto ‘Altri libertini?’ Al di là del piacere puramente letterario nell’affrontare questi personaggi con la loro lingua meticciata e regressiva, e quello teatrale di occuparmi di personaggi in tumulto, ci doveva essere dell’altro; qualcosa di più profondo che avesse a che fare con me, con la mia vita, con i miei 40 anni, con le mie origini. Questo qualcosa che oggi provo a definire si è rispecchiato un giorno, come un’epifania, in quelle parole tondelliane e ha deciso di appropriarsene. Innanzitutto, un aspetto politico: due saggi di Paolo Morando, ’78-’79 Dancing days e ’80, che raccontano gli avvenimenti degli anni titolati, insieme ad una ricerca video (molto importante è stato il documentario di Comencini “L’amore in Italia”) mi hanno messa in relazione con la parola ‘reflusso’ (o riflusso a seconda delle fonti), cioè il momento esatto in cui è cominciato quel processo in cui la politica perde terreno, il capitalismo avanza e la cosa pubblica viene sostituita dal privato. Questo processo è arrivato dritto fino a noi e ci pone davanti a due macrotemi: la fine dell’ideologia e la presenza totalizzante del privato nelle narrazioni contemporanee. Ed è questo processo che condanno, che soffro ma di cui sono totalmente parte, in cui soccombe anche la mia di narrazione, dai social al teatro. Che cos’è questo punto di non ritorno? Che cos’ero io? Che cosa mia madre? Quel suo sguardo ritrovato in alcune descrizioni pasoliniane quanto può assomigliare al mio? Come guardo i giovani oggi? Quello spirito reazionario da giovane scapestrata degli anni Novanta quanto mi fa puntare l’indice con giudizio e a volte disprezzo per le nuove generazioni e la loro ‘assenza di un corpo’. Come sono invecchiata? Sono invecchiata? Io e i miei compagni di viaggio ci siamo messi addosso l’etichetta di altri libertini, vitelloni nati nel secolo scorso, senza figli, animali notturni, poca grazia nel nostro stare al mondo, bestie solitarie terrorizzati dalla solitudine, incapaci di essere genitori, condannati ad essere eternamente figli, figli dai capelli bianchi, figli coi drink in mano e la droga nel portafogli da usare rigorosamente in occasioni speciali. Dunque, questo spettacolo mette in scena “Altri libertini”, ma fugge dalla rappresentazione continuamente, gli attori si appropriano di quelle parole e alla fine Pier Vittorio Tondelli non esiste più se non nei corpi nella carne negli sputi degli attori, nelle loro biografie. Io, con il mio corpo in scena, sono lì ‘in borghese’ a combattere questa personale guerra alla rappresentazione, sono lì a confondere, sono lì a ricordare continuamente allo spettatore che siamo in un teatro a rievocare i morti attraverso il corpo dei vivi. Siamo qui a memento della storia. Siamo qui a raccontare le miserie di una generazione che si perpetua sempre uguale da almeno quarant’anni”.