Napoli. Dal 4 all’08 dicembre al Teatro Bellini è in scena la commedia “Cose che so essere vere”, la produzione è del Teatro Stabile di Torino -Teatro Nazionale, del Teatro Stabile di Bolzano e di TSV Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.
Il testo è dell’australiano Andrew Bovell – il titolo originario è “Things I Know to Be True” – tradotto in italiano da Micol Jalla, con Giuliana De Sio nei panni di Fran Price la madre, Valerio Binasco in quelli di Bob padre di quattro figli, interpretati dai giovani e bravi (in ordine alfabetico): Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano e Stefania Medri.
È un testo a prima vista chiaro, semplice e ricco di una slang tipico di qualsivoglia nucleo familiare e Valerio Binasco, regista oltre che interprete, è riuscito a rendere questa semplicità – tale solo in superficie – senza però scadere nel semplicismo.
Attraverso una tensione emotiva sempre alta tra i personaggi e tra questi e il pubblico, ci fa intravedere un intreccio la cui complessità si può percepire anche solo dal cambio di ritmo cui contribuisce una credibile Giuliana De Sio nel ruolo di una madre attiva, sempre presente e attenta alle esigenze altrui e lo stesso Binasco a volte goffo, altre tenero e altre ancora ironico.
Apparentemente la struttura drammaturgica è facile e scorrevole ma solo perché è tecnicamente ben costruita e resa, procede infatti a ritroso, come se stessimo al cinema e non a teatro, catturando così l’attenzione dello spettatore nel cercare di capire cosa verrà detto dall’altro capo del telefono a Bob.
Questi nel cuore della notte viene svegliato dal suo trillo e, mentre si avvicina all’apparecchio telefonico, la sua mente è attraversata dai peggiori pensieri di sciagura che possano aver travolto la vita di uno dei quattro figli.
Lo spettatore è chiamato però a conoscere la storia di ciascuno dei componenti del nucleo familiare prima di arrivare in maniera circolare allo stesso quadro che ha aperto la rappresentazione.
Così uno ad uno vengono presentati i drammi, i sogni, i fallimenti, le aspettative tradite, i nuovi tentativi dettati da speranze rinnovate di ciascun figlio che non teme di mettere a nudo le proprie fragilità e incapacità nell’amare, nel capire la propria identità, l’orientamento di genere, trovare in definitiva un proprio posto nel mondo, e può farlo perché si sente al sicuro in uno spazio accogliente come quello non giudicante della famiglia di origine.
La storia è ambientata in una villetta nella città australiana di Adelaide, precisamente due sono gli spazi interessati, ossia la cucina/soggiorno e il giardino che Bob, ormai in pensione, ama curare come se si trattasse di un Eden.
Sono ambienti sempre presenti contemporaneamente sul palcoscenico e una pedana girevole riesce a mettere in primo piano ora l’uno ora l’altro, a seconda delle esigenze narrative.
La famiglia vista inizialmente serena e unita lo è solo in apparenza, perché in seguito ai racconti individuali e ai conseguenti scontri inizia a sgretolarsi con l’emergere di segreti, o almeno di cose mai dette a iniziare dalla paura di Fran di trovarsi nella stessa condizione di sua madre, che per mancanza di indipendenza economica è stata costretta a rimanere in un rapporto che non la rendeva più felice e per evitarlo Fran, all’insaputa di Bob, ha accumulato risparmi per quasi € 200.000,00 pronta però ad utilizzarli per salvare il figlio da una denuncia per truffa. La scelta di Fran di rimanere vicino a Bob per i figli ha condizionato la loro vita, perché hanno assorbito l’infelicità materna.
Il risultato è un’opera corale ben riuscita, armonica, perché ognuno esegue alla perfezione la propria parte senza sovrapporsi agli altri ma insinuandosi negli spazi lasciati loro liberi.
Colpo di scena finale: la telefonata non annuncia la morte di uno dei figli, così come lo spettatore si sarebbe aspettato, ma della madre, che a causa di un colpo di sonno, dopo il suo turno di lavoro, ha perso la vita sbattendo contro un albero.