“Macbeth”, Roberto Latini e Lucrezia Guidone portano in scena un classico di Shakespeare

Napoli. Dal 4 al 15 dicembre al Teatro Mercadante è in scena la prima nazionale del “Macbeth” di William Shakespeare, nella traduzione di Paolo Bertinetti (Giulio Einaudi editore), produzione della nuova stagione del Teatro Nazionale di Napoli diretto da Roberto Andò, con Campania Teatro Festival-Fondazione Campania dei Festival.
Protagonisti sono Roberto Latini in Macbeth e Lucrezia Guidone in Lady Macbeth, con loro una compagnia di bravi attori costituita da: Gennaro Apicella, Riccardo Ciccarelli, Sergio Del Prete, Antonio Elia, Marcello Manzella, Nicola Pannelli, Olga Rossi, Michele Schiano di Cola, Paola Senatore, molti di loro hanno recitato più parti.
Fuori campo la voce registrata del piccolo Giovanni Frasca, che interpreta l’alter ego di Macbeth tornato bambino, quasi a voler trovare la causa della sua malvagità in un trauma infantile mai elaborato.
La regia è di Jacopo Gassmann: avvezzo per formazione ed esperienza a tradurre i classici della cultura anglosassone, ora offre una rilettura della tragedia che risente nella sua costruzione della precedente esperienza del “Macbeth” di Verdi.
L’opera lirica infatti ha debuttato a Bologna nel mese di aprile di quest’anno e mentre in quel caso Gassmann ha letto Verdi avendo come riferimento Shakespeare, ora ha rappresentato quest’ultimo avendo ancora in mente la musica e la costruzione scenica propria di un melodramma (coinvolgente, talvolta per contrasto, il disegno sonoro di Daniele Piscicelli).
Gassmann non è interessato tanto alla storia, quella nota – banco di prova di molti tra attori e registi – ma a quella personale, intima, che attanaglia l’animo dei due protagonisti, desiderosi della conquista del potere e pronti a tradire e uccidere pur di conquistarlo, ma che poi non riescono a sopportare le conseguenze delle loro scelte sciagurate.
In questo modo il regista pone in risalto soprattutto l’aspetto esoterico dell’opera originaria, ossia di ciò che è interno, nascosto, segreto che attraverso il linguaggio – che in questo caso non è solo verbale – consente la comprensione di quello che c’è nel profondo dell’uomo.
Lo fa attraverso elementi simbolici come l’incontro con le streghe e la concezione di un mondo dove l’etica e l’estetica, ossia ciò che è bene, e quindi giusto, e ciò che è male, quindi, ingiusto, sono ancora un unicum, non sono separati come nel mondo moderno.
Optare per il male – non si comprende se sia una scelta libera o condizionata dal divino, al quale comunque non ci si può sottrarre – porta a confondere i piani e a fare diventare bene il male e male il bene.
Questa è la prima frase con la quale si apre la narrazione e sebbene gli avvenimenti si susseguano cronologicamente secondo l’ordine originario, i pensieri si accavallano, si sovrappongono, sono accompagnati da visioni sonore e visive a manifestare lo struggimento che il male procura, perché “il sangue richiama il sangue” e il male non alimenta altro che il male, fino quasi a condurre alla pazzia e poi alla morte per mano di chi si è sentito tradito nei valori e negli ideali comuni.
Il dolore e l’affanno che ne derivano sono ancora di più esaltati dai movimenti del corpo soprattutto quello di Macbeth – curati da Sara Lupoli – che da eretto finisce per strisciare, poi accovacciarsi e infine stare riverso per quasi tutto il secondo tempo a recitare sul modellino raffigurante il proprio castello, per poi essere decapitato, come se fosse ridotto a bestia, e a mano a mano si avvicinasse al mondo degli Inferi.
La testa che viene calata dall’alto al centro della scena è un calco in 3D di Emanuele Paribello
A quello di Macbeth si contrappone un atteggiamento sempre fiero di Lady Macbeth, che reputa il consorte un debole, un vile, unico cedimento della donna è durante il sonno, in cui l’inconscio riemerge ed è desiderosa di pulirsi le mani dal sangue, cercando la purificazione nell’acqua.
L’oscurità caratterizza le scene (sono di Gregorio Zurla), gli abiti (di Roberta Mattera) perché è della notte dell’anima che si vuole parlare, accecata ogni tanto dai bagliori che provengono dalle visioni che attraversano la mente, rese da una illuminazione a tal punto bianca, proveniente dal retroscena, da risultare fastidiosa (il disegno luci è di Gianni Staropoli mentre il datore luci è Fulvio Mascolo).
Gasmann è riuscito a rendere l’originario originale grazie anche alla bravura su tutti dei due protagonisti, in particolare di Lucrezia Guidone, a cui il piccolo schermo non rende giustizia come invece riesce a fare il teatro.

Crediti foto: Ivan Nocera.

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