“Play Viviani”, Tonino Taiuti scuote le coscienze con uno spettacolo che diverte e fa riflettere

Napoli. Non può esserci sede migliore del Teatro Trianon – Viviani per portare sulla scena la Spoon River dedicata al grande commediografo e attore Raffaele Viviani, tra i maggiori artisti che hanno calcato quel palcoscenico che, dal 2020, sotto la direzione di Marisa Laurito, si propone di recuperare il patrimonio tradizionale partenopeo.
Parliamo di “PLAY VIVIANI”, produzione del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, diretto e interpretato da Tonino Taiuti che – si ricorda – è stato vincitore del Premio Le Maschere del Teatro Italiano come migliore attore non protagonista nel 2014 per “Circo Equestre Sgueglia” e nel 2017 per “American Buffalo”.
Il titolo è polisemico, cioè può assumere più significati: dal divertirsi, allo scherzare, al suonare, ancora al fingere di essere qualcuno altro e tutti sono validi perché la messa in scena è tutto questo e molto altro ancora: Taiuti canta, suona la chitarra elettrica di cui usa spesso il distorsore, schiaccia il tasto play di un registratore che emette suoni fastidiosi, come a voler sottolineare come il pensare spesso disturbi chi ascolta, recita e canta a cappella.
Sarebbe poi interessante sapere da lui cosa volesse intendere nel momento in cui ha dato questo titolo alla sua drammaturgia.
La rappresentazione inizia con Taiuti che entra da una quinta laterale con in mano una valigia di cartone tenuta insieme da uno spago (i costumi sono di Sara Marino), intonando proprio “Emigrante” del 1918, testo e musica di Viviani.
Conquista così il centro del palcoscenico il cui spazio è opera sempre di Tonino Taiuti: un coltello appeso a cui fa da contraltare un campanello che scende su un cane di pezza; dietro due teatrini per marionette posizionati in maniera simmetrica, con su scritto “ex voto” da cui per due volte lui appare impersonando in maniera ironica il poeta.
Ogni oggetto è evidenziato da un’illuminazione che lascia il buio intorno (il disegno luci è di Carmine Pierri, mentre datrice di luci è Desideria Angeloni, Domenico Riso è direttore di scena mentre Luca Taiuti è assistente alla regia).
Non è la prima volta che assistiamo a “Play Viviani” ma ogni volta non è uguale a se stesso, perché Taiuti si muove con tale naturalezza nei suoi personaggi che è in grado di improvvisare e trasformare una dimenticanza in una boutade che strappa un sorriso e gli vale un applauso e poi riprende, reinventando, destrutturando e ricostruendo il suo percorso narrativo.
Questo si apre e chiude con un monologo inframezzato da tanti sketch in cui Taiuti si sdoppia o triplica nei tipi propri del realismo di Viviani, si pensi ad esempio alla festa di Piedigrotta, ricorrendo alla soluzione a cui fu costretto l’autore nei primi del ‘900 in seguito alla chiusura dei teatri di Varietà per ordine del governo Salandra, ossia fare dei numeri di Varietà un atto unico, dando così vita a un genere teatrale nuovo per quei tempi.
Taiuti però è solo sulla scena capace di cambiare registro, ritmo e genere, di essere uomo, donna, bambino e anche burattino, si ricorda che è stato con Giuliano Scabia, Mimmo Cuticchio, Tommaso Bianco e tanti altri tra i sostenitori di Casa Guarattelle “Nunzio Zampella”, uno spazio creativo aperto a tutti i guarattellari del mondo che dal 2019 ha sede a Napoli in Vico Pazzariello 15/A.
E facendo suonare un campanello sospeso a un filo che scende dall’alto, Taiuti cerca di scuotere le coscienze addormentate e abituate al servilismo, prima di iniziare l’episodio delle due marionette delle quali lui è il burattinaio, da cui emerge quell’umanità e solidarietà che gli esseri umani hanno perduto.
Perché è nella connotazione poetica del racconto che Taiuti si stacca da Viviani, fatto di amarezze, di migrazioni passate e presenti, di persone ai margini, su tutto però prevale un messaggio positivo con la capacità sempre di sorridere e ridere che aiuta a spingere la vita avanti.

Crediti foto: Pietro Previti.

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