Roma. Dopo lo straordinario successo di “Ululuna”, di e con Stefano Benni, il Teatro Stabile di Roma lancia un Festival a chiusura della vasta programmazione artistica del 2019 riportando in scena due dei successi della stagione appena trascorsa e due spettacoli inediti, sotto il grande tema del tempo.
La rassegna “Il tempo non esiste. (È per questo che lo facciamo)” in scena dal 23 al 26 maggio al Teatro Keiros di Roma trasporta lo spettatore in un mondo fantastico, al limite del tempo e dello spazio, dove uccelli si radunano per decidere il destino del mondo, un uomo vive la morte attraverso il dialogo dei suoi organi e uomini senza identità aspettano qualcuno che possa dare un senso alle loro vite. Il tempo non è più quello scientifico misurato con precisione da orologi ultramoderni, ma diventa il tempo dell’anima e delle emozioni, dove un secondo può sembrare un’eternità (se si sta aspettando chi ci potrà portare alla salvezza) e dove cento anni possono passare rapidi come un secondo.
Una rassegna sull’assurdo della vita e della morte dominate dal caso o forse no. Questo solo lo spettatore sarà a deciderlo.
E se nemmeno la morte fosse la soluzione per uscire dal (non) senso della vita? Queste le domande che gli attori, attraverso le pièces del ciclo di spettacoli, mescolando leggerezza e profondità, risate, riflessioni e colpi di scena, faranno al pubblico in sala.
I registi: Francesco Guglielmi, classe ’94 e Jacopo Neri, classe ’95, entrambi già selezionati al premio Hystrio, si confronteranno con il Teatro dell’Assurdo 2.0. Sul palco i giovani attori del Teatro Stabile di Roma, a dimostrare ancora una volta quanto l’establishment dello Stabile voglia puntare sul riuscito mix di giovani talenti e scrittura importante.
La serata di sabato 25 maggio, torna ancora una volta “Stand-Up Baby” di e con Maria Beatrice Alonzi che, dopo il sold-out di tutte le date di marzo, riporta a Roma per una sera la sua comicità frizzante e completamente improvvisata, in una serata dallo stampo americano, senza copione e senza appigli. Per perdere di nuovo la concezione nel tempo, questa volta, ridendo a crepapelle.