Venezia. Dopo aver chiuso gli spettacoli di luglio con il dittico formato da “Prima la musica e poi le parole” e Gianni Schicchi, gli allievi dell’Accademia sono protagonisti dal 2 al 20 settembre del rientro scaligero dopo la pausa estiva con la ripresa di “Rigoletto” di Giuseppe Verdi nel classico allestimento del 1994 di Gilbert Deflo con scene di Ezio Frigerio e costumi di Franca Squarciapino. A oltre un mese dalla prima rappresentazione, restano solo poche decine di biglietti su ciascuna recita.
Attorno al “Rigoletto” di Leo Nucci, che dopo aver abbondantemente superato le 500 recite è tra gli interpreti più amati della parte, si alternano come Duca di Mantova Riccardo Della Sciucca e Chuan Wang, come Gilda Enkeleda Kamani e Francesca Manzo, come Maddalena Daria Cherniy e Caterina Piva, come Sparafucile Eugenio Di Lieto e Toni Nezic, come Monterone Maharram Huseynov e Giorgi Lomiseli, come Marullo Ramiro Maturana e Hwan An, mentre Valeria Girardello è Giovanna e Lasha Sesitashvili è Ceprano.
La presenza dell’Accademia è completata dagli allievi del settimo e ottavo corso della Scuola di Ballo impegnati nella scena iniziale. A guidare Coro e Orchestra dell’Accademia il Maestro Daniel Oren, che torna alla Scala dopo il successo riscosso nel 2018 con “Aida” alla testa dei complessi del Teatro.
Nel 1994 lo spettacolo di “Deflo” riportava il titolo alla Scala dopo oltre 20 anni nell’ambito di un più vasto progetto di riproposizione della cosiddetta trilogia popolare con la direzione di Riccardo Muti: l’ultima produzione, firmata da Margherita Wallman, risaliva infatti al 1970 ed era stata diretta da Giuseppe Patané (ripresa nel ’71 con Paolo Peloso). Muti diresse nel 1994, 1995, 2000 e 2001; Riccardo Chailly nel 2006; James Conlon nel 2010; Gustavo Dudamel nel 2012 e 2013; Nicola Luisotti nel 2016.
Cardine dello spettacolo, divenuto negli anni un classico scaligero, è la folgorante scenografia di Ezio Frigerio che in occasione della prima aveva dichiarato di aver creato un “Rigoletto” “nel solco della tradizione, il più elegante e ‘bello’ possibile. Con mezzi moderni, ho cercato di fare uno spettacolo che sarebbe piaciuto a Verdi e al suo pubblico. L’ho spogliato dall’aneddotica, ma resta un impianto rinascimentale, anche se chi ha un occhio attento potrà notare che gli elementi architettonici sono contaminati da un certo gusto ottocentesco. Una lettura teatrale, però, non storica”.