Roma. “Chiamatemi Achab. Chiamatemi Ismaele. Chiamatemi Nessuno!”.
Si apre e chiude navigando i mari dell’anima e dell’inconscio questa riscrittura dell’opera di “Melville” di Davide Sacco. Come pure, i grandi monologhi di Shakespeare, Moliere, Artaud – ripercorsi da Achab – che ne compongono le onde.
In un mare che si fa oceano infinito di conoscenza, il vecchio Capitano del Pequod si trasforma nei protagonisti del Teatro e della Letteratura d’ogni tempo, solcando i flutti e sfidando tutto e tutti per sete di sapere. Figlio naturale della cultura occidentale, Achab nella Balena bianca vede i limiti dell’uomo e si getta nel suo iperbolico inseguimento con l’unica fiocina per lui possibile: l’ostinazione al Sogno e all’Arte di perseguirlo, come sfida al Sonno della Ragione.
“L’uomo non è mai padrone del suo destino se non insegue un sogno e se non ha l’ostinazione per realizzarlo, quel sogno!”.
Ad accompagnarlo su questi mari, Ismaele. Giovane, forte, bello ancora inesperto ma non ingenuo. Del suo Capitano, Ismaele ammira la capacità di stare sempre sull’onda, con ogni vento, nella sfida infinita a Natura, Fato, Divino. Riconosce e trova in Achab “Re del dolore” la tenacia e la capacità d’improvvisare, per andare oltre i propri limiti. Un maestro da seguire, quando non piuttosto un padre che ritrova – troppo tardi, forse! – il figlio perso, anche lui ora disposto a sfidare il proprio mostro, dentro il mare del sé.
La scenografia di Stefano Sabelli evoca la tolda di una baleniera, con alberi e vele, in rotta su un oceano infinito di libri. Il pubblico, accomodato intorno alla nave, a ridosso degli attori, è inglobato nell’azione scenica. Un mare fluttuante, chiamato in causa pure come equipaggio del Pequod.
Le musiche di Giuseppe Moffa eseguono dal vivo una suite mediterranea che da voce e corpo al terzo interprete, sempre evocato, di questo allestimento: la Balena bianca. L’uso di loop machinee di strumenti della tradizione popolare miscela note e suoni dell’anima che preparano l’urlo finale, straziante e lancinante, della zampogna. Quando emerge, abbagliante e bianca, dai flutti dell’anima di Achab: “Moby Dick, la Bestia dentro”.
Lo spettacolo andrà in scena a Roma, presso il Teatro di Tor Bella Monaca, il 27 ottobre alle ore 17 ed il 28 e 29 alle ore 21.
Il “MOBY DICK” del Teatro del LOTO, ha debuttato a fine giugno 2018 in prima nazionale ad Asti Teatro XL. Ne è seguita una prima tournée estiva, ospite di di altri festival e rassegne in bellissimi Teatri di pietra, come il Teatro greco di Segesta, per Le Dionisiache 2018, o il Teatro sannitico di Pietrabbondante.
Nelle Stagioni 2018 e 2019 lo spettacolo sarà presentato in tutta Italia anche nelle programmazioni invernali di metropoli e città come Roma, Napoli, Pescara, Viterbo, come pure in borghi storici quali Vasto, Soverato, Pitignano, Sarzana.
Stefano Sabelli, il Direttore artistico del Teatro del LOTO, alternando la sua vocazione di attore e regista, nel recente passato si è dedicato all’interpretazione di grandi personaggi border-line segnati, nella senilità, da una follia latente disvelatrice dell’irrefrenabile desiderio di continuare a sfidarsi fino alla fine, andando oltre i propri limiti. Così è nato un trittico d’interpretazioni folli ed “estreme” che, dal “Saul” di Vittorio Alfieri, passando per “Re Lear” di Shakespeare, (con traduzione di Alessandro Serpieri) lo ha portato fino all’Achab melvilliano che chiude questo cerchio di “grandi vecchi”, che trovano espressione comune nella forsennata ed estrema fisicità di queste sue interpretazioni. Ancor più esasperata, nel “Moby Dick”, per l’evidente zoppia del Capitano del Pequod che, pur mutilato dalla Balena bianca, mai rinuncia alle sfide più folli e acerrime pur d’inseguirla e ottenere la sua vendetta.
Gianmarco Saurino, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, si afferma da subito, con sorriso e fisicità mai banali, fra i nuovi protagonisti delle più importanti fiction di RAI (“Che Dio ci Aiuti 4 e 5” – “Non dirlo al mio capo 2”). Nonostante il successo televisivo, rimane legato al Teatro, il suo primo amore, coltivato fin da ragazzo al Teatro dei limoni a Foggia, sua città natale. In Teatro, affronta personaggi, anche classici, con una modernità interpretativa sempre evidente e spigliata. Da alcuni anni collabora con la Compagnia del LOTO e con Stefano Sabelli che lo ha diretto anche in Saul, dove ha interpretato Gionata, come pure con Davide Sacco di cui interpreta il monologo Condannato a morte, da V.Hugo. Il suo Ismaele in Moby Dick, pur interpretato con solare vigore, non perde mai la sensibilità e la lucida poeticità del ruolo, che lo porta a riconoscere in Achab un padre, forse, non solo naturale.
Giuseppe Spedino Moffa, cantautore e polistrumentista molisano di gran talento e versatilità, (chitarrista, zampognista ha fondato anche la Zampognorchestra, singolare quartetto di zampogne, capace di riprendere e adattare qualsiasi musica, dai balli locali ai Beatles), sorprendente autore di canzoni, orientate da una cifra narrativa costantemente irridente, nel 2015 con l’album “Terribilmente Demodè” vince il Premio “Di canti e di Storie” di Squilibri Editore ed è finalista per la Targa Tenco come miglior album in dialetto. Per Moby Dick ha creato una lunga suite, struggente e dai forti richiami marinareschi e mediterranei, che esegue da solo, dal vivo, come terzo personaggio in scena, con l’aiuto di una loop machine, oltre che con l’ausilio di zampogne, chitarre, fisarmoniche, percussioni e strumenti vari, oltre che con la sua voce, evocativa e antica.