Foggia. Continua il grande progetto culturale ed artistico che l’Amministrazione comunale e l’Assessorato alla Cultura di Foggia hanno intrapreso oltre quattro anni fa, allorquando sembrava impossibile parlare di rinascita culturale e quando altre emergenze rischiavano di non lasciare spazio alla bellezza e all’arte. In questo virtuoso percorso, l’opera, quella meravigliosa fusione di musica, parole, canto e fantasia, non poteva non avere un’attenzione privilegiata. Ecco, dunque, la stagione lirica “Foggia all’opera 2019”, con due titoli del grande repertorio operistico assenti da molto tempo, la “Carmen” di Bizet e il “Rigoletto” di Verdi, accostati ad una perla del repertorio giordaniano: “Marcella”. Al Teatro Giordano è andata in scena la prima rappresentazione della “Carmen” di George Bizet, il 25 ottobre alle ore 20.30, ed il teatro ha registrato subito il sold out.
Al pari di “Don Giovanni”, suo diretto progenitore di quasi due secoli più anziano, “Carmen” è un mito così profondamente radicato nella cultura occidentale che ormai le due figure vagano insieme all’interno delle mutazioni del comune sentire ma non vedono mai scalfita la loro gloria e fama.
Condividono un luogo apparente, quella Siviglia terra di incroci di culture e sensibilità, ma oltre a quello nulla potrebbe legare il Cavaliere ineffabile con la violenta sigaraia, eppure il dato che li accomuna per sempre, e che è anche la ragione della loro centralità nelle nostre visioni, è la saldatura perfetta della coppia e delle loro storie, con il mondo della psicoanalisi e dello studio delle emotività e desideri. Ossia, in termini più espliciti, un viaggio nell’universo terribile dei rapporti fra uomini e donne.
Sono partita da un libro scritto nel 1985 da Franco Fornari, un grande maestro della psichiatria italiana, che a lungo si è occupato di musica e melodramma, riscontrando nell’opera lirica una specie di “Torre di Babele” emotiva e funzionale allo studio della mente e delle sue elaborazioni. Il titolo già chiarisce l’inizio di questa avventura: “Carmen Adorata. Psicoanalisi della donna demoniaca”.
Le prime due parole sono di Don Josè dopo aver ucciso la protagonista, il resto è l’intento dello scrittore. Lo spettacolo ha preso l’avvio dalle pagine di Fornari che costruiscono un percorso dettagliato della ineluttabile diversità fra universi maschili e quelli femminili, fra visioni incompatibili dell’amore e della violenza, e si è sviluppato poi autonomamente guardando tutto l’accadere con gli occhi sia della protagonista che di tutti gli attori del dramma. Gli occhi, canale principale dei desideri e delle emozioni.
L’inferno della psiche è nella quasi allucinante distanza fra il mondo degli uomini e dei padri da quello femminile e delle madri, così lontani nelle percezioni e nelle aspirazioni.
Un’ultima osservazione sul desiderio di libertà, evocato da Carmen alla fine del secondo atto dell’opera. Non è il diritto di cambiare uomo o donna a suo piacimento, non è così semplice. È prima di tutto l’anelito a spezzare le catene dell’infelicità, proveniente dai tempi lontani e prenatali e tornare a vivere con tutta la possibile pienezza in quel “giardino dell’Eden” irrimediabilmente perduto con il nostro venire al mondo. Questa è la nozione di libertà. Uomini e donne in forme diverse. Ma il cammino è lungo, e ancora per molto, Carmen, Don Josè, Escamillo e Micaela continueranno a popolare i nostri incubi e a interrogarci sui nostri desideri più nascosti e inconfessabili, anche a noi stessi.
La “Carmen” viene rappresentata per la prima volta al Thèatre de l’Opéra – Comique di Parigi il 3 marzo 1875, l’opera fu accolta con freddezza dal pubblico. La vicenda di Carmen, liberamente tratta dal breve romanzo di Prosper Merimée del 1845, scatenò, infatti, una serie di polemiche sul personaggio principale, considerato immorale, e sulle forti tematiche, affrontate con estremo realismo. Anche la critica, inizialmente, “scomunicò” Carmen, alimentandone la fama di spettacolo indecente: “Le nostre scene sono sempre più invase dalle cortigiane; è in questa classe che i nostri autori si compiacciono di reclutare le eroine dei loro drammi e delle loro opéras – comiques”. Così Achille de Lauzières scriveva il giorno successivo alla prima, sul periodico “La Patrie”.
Nonostante il “moralismo” del pubblico e della critica parigina, la prima interprete del personaggio, Célestine Galli Marié, negli anni successivi si impegnò a promuovere l’opera in un lungo tour europeo, che comprese anche la prima rappresentazione italiana al Teatro Bellini di Napoli, il 15 novembre 1879.
George Bizet che aveva lavorato con grande impegno a quest’opera (collaborò anche al libretto, scrivendone alcune parti, tra cui le parole dell’habanera), morì tre mesi dopo la prima rappresentazione, senza poter assistere al grande successo che, invece, l’opera ebbe in seguito, a partire dalla ripresa di Vienna nello stesso 1875.
“Carmen” ritornò nel teatro in cui era nata solo nel 1883 ma intanto era stata adattata dal compositore Ernest Guiraud, che aveva trasformato parte dei dialoghi in recitativi strumentali, secondo la tradizione dell’Opéra francese.
Il grande entusiasmo del pubblico si estese anche tra i personaggi della cultura e fra i compositori del tempo, tra cui Wagner, Verdi, Brahms e Tchaikovsky. Quest’ultimo, che ascoltò l’opera nel 1876, rimase colpito da quello che definì “un capolavoro nella vera accezione del termine”, intuendone subito la rarità creativa che riassumeva gli sforzi di tutta un’epoca musicale.
Un altro grande ammiratore della “Carmen” fu Friedrich Nietzsche che andò a vedere per la prima volta l’opera a Genova il 27 novembre 1881, e in seguito la riascoltò numerose volte: “Ho udito ieri – lo credereste? – per la ventesima volta il capolavoro di Bizet. Ogni volta che ascoltavo la Carmen mi sembrava di essere più filosofo, un miglior filosofo di quanto non fossi solito credere. Si sono mai uditi sulla scena accenti più tragici, più dolorosi? E come sono ottenuti? Senza smorfie, senza contraffazioni di alcun genere, in piena libertà dalle bugie del “grande stile”.
Il grande filosofo tedesco, dopo Wagner, ritrovava in quest’opera l’incarnazione della sua filosofia e la sua nuova eroina, libera ed anticonformista: “Anche quest’opera redime; non soltanto Wagner è un “redentore”. Qui parla un’altra sensualità, un’altra sensibilità, un’altra serenità”.
Da oltre 150 anni “Carmen” è una delle opere più rappresentate al mondo. Le novità dei contenuti musicali e la sua concezione drammatico – musicale hanno influenzato numerosi musicisti italiani e francesi; l’opera, infatti, può annoverarsi tra le grandi prove del realismo ottocentesco, una lezione che venne ben presto accolta dai compositori del cosiddetto “verismo italiano”.