Milano. Lo spettacolo “Dalla Terra alla Luna”, rappresentato dalle marionette della Compagnia Lupi al Teatro D’Angennes di Torino e dalla Compagnia Colla al Teatro Gerolamo di Milano, ebbe, sul finire dell’800, un successo maggiore di quanto non avesse ottenuto l’operetta cui si ispirava, “Le voyage dans la Lune” di Offenbach. La corsa agli armamenti degli Stati Europei, gli intrighi e le manovre delle grandi dinastie imperanti, le imprese e le conquiste coloniali, gli eventi politici e sociali costituirono argomenti accattivanti per un impianto drammaturgico di facile coloritura operettistica.
I personaggi protagonisti irridevano ai grandi ministri tramontati o affacciati sulla scena europea, agli ambiziosi sovrani smaniosi di grandezza.
E poi c’era il mondo della Luna, con i suoi paesaggi, le terrazze aeree, le sale dorate, un’occasione squisitamente teatrale per invenzioni fantastiche e per dialoghi densi di ironia, talora anche amara, sugli usi e sui costumi del mondo terrestre in stridente antitesi con il magnifico mondo lunare.
Con questa edizione, ripresa da Eugenio Monti Colla nel 1993 e presentata al Festival dei Due Mondi di Spoleto, si è voluto accentuare, non soltanto il gusto teatrale legato al fenomeno della féerie musicale, anticipatrice di quello che sarebbe stato il genere operettistico prima, e della commedia musicale poi, ma soprattutto, il carattere parodistico caro allo spettacolo di marionette, che diede vita a un ricchissimo filone teatrale in cui venivano trattati argomenti politici e sociali e, più generalmente, tutta l’attualità dalla fine del XIX secolo agli anni della censura fascista.
“C’era una volta un principe…”: a un tale inizio di natura fabulistica, cui si affiancano la malinconia e la mestizia del giovane erede al trono di Vlanandia immerso nel chiarore lunare di romantiche notti, fanno da contrappunto i personaggi della regina, permanentemente singhiozzante, del re, assolutista e dispotico, deciso ad affermare la propria volontà con il sollecitare e vanificare repentinamente ogni tentativo di mediazione fra l’opinione e l’obbedienza passiva; di un ministro compiacente, intrigante e perduto nella vanità di una sapienza mai esercitata; e infine, di un buffone dotato di buon senso e acume critico, nella funzione di controcanto al gioco dei potenti, epigono della “maschera” teatrale, erede del drammatico fool, con funzione di personaggio comico nel teatro popolare. Attorno a essi ruotano figurazioni teatrali antitetiche: dal gruppo degli astronomi, fatui e vuoti “docenti” di dottrine astruse e contraddittorie, a quello degli operai, dei valletti o dei militari.
Coevo delle realizzazioni cinematografiche di Meliès, lo spettacolo propone un mondo della Luna dove i volti argentati sono racchiusi in cerchi o limitati da forme che ripetono le fasi lunari, dove gli abiti sontuosi rievocano, seppur lontanamente, la ieraticità delle vesti sacerdotali dell’antico Egitto, mescolata a strutture geometriche e floreali.