Roma. Venerdì 8 maggio è stato trasmesso, in streaming su Mymovieslive, il film“Pina”, lavoro che Wim Wenders ha dedicato alla grande coreografa e danzatrice Pina Bausch.
Né l’uno né l’altra hanno bisogno di presentazioni e l’opera, scaturita dall’incontro tra i due incommensurabili artisti, è ormai entrata nella memoria di tutti gli appassionati di cinema e, soprattutto, di danza.
Nel 1973 la coreografa tedesca fonda il “Tanztheater Wuppertal Pina Bausch”, cambiando nome al già esistente corpo di ballo e iniziando così a creare i suoi rivoluzionari lavori, i famosi stück, insieme ai danzatori, attraverso l’improvvisazione generata dalle domande da lei stessa poste. Esplorando il proprio mondo creativo ed emotivo, e utilizzando più strumenti quali voce, gesto, immaginazione si dà, così, vita ad un’azione continua dove i movimenti non sono già impostati ma nascono con spontaneità e naturalezza attingendo anche dai sentimenti e dalle dinamiche interiori e relazionali: il risultato è, ormai, parte della storia della danza.
Wim Wenders narra di essere rimasto folgorato dalla visione di “Café Müller”; da lì nasce il legame di amicizia con Pina e, quindi, l’idea di fare un film insieme. Nel giugno 2009, a pochi giorni dall’inizio delle riprese, la madre del teatrodanza muore improvvisamente, nello shock generale di tutto il mondo dello spettacolo. Wenders interrompe la lavorazione, riprendendola solo in seguito, per rendere omaggio al lavoro della sua grande amica: lo fa riadattando l’idea iniziale, con un documentario che viene presentato nel 2011 al Festival internazionale del cinema di Berlino e che viene subito acclamato dalla critica e dal pubblico.
Privo di informazioni biografiche sulla Bausch, il film affida ai danzatori della compagnia i ricordi della coreografa, delle sue parole e dei suoi insegnamenti: le interviste, essenziali e cariche di emozione, sono vere e proprie testimonianze della grandezza della sua arte, del suo “metodo” di creazione, ma anche dei rapporti profondi e duraturi che la coreografa ha saputo instaurare con la comunità dei suoi danzatori. Ognuno di loro utilizza la propria lingua madre ma si capisce che, in quella diversità che è ricchezza, tutti hanno acquisito un linguaggio comune: quello di Pina. Per la realizzazione del documentario, dopo una attenta ricerca, Wenders sceglie di utilizzare la tecnologia 3D, con il preciso intento di voler ricreare il più possibile le sensazioni che una coreografia dal vivo può dare: ne scaturisce un lavoro accurato, per restituire i movimenti e i gesti che fanno parte dell’ormai inestimabile patrimonio coreografico del Tanztheater. Il resto del film, infatti, intervallato da alcuni documenti di repertorio della coreografa al lavoro, è danza ed egli porta così lo spettatore tra le creazioni dell’artista tedesca, sul palco, tra la natura o nelle strade di Wuppertal, da sempre città sede della compagnia, esaltandone le partiture coreografiche. Attraverso le sue macchine, il regista riesce ad avvicinarsi ai corpi al punto da poterli quasi toccare, coglie i dettagli dei gesti restituendone il significato e l’emozione, fa sentire i fremiti e le tensioni della compagnia, ben sapendo quando è necessario allontanarsi per vedere il disegno nel suo complesso. Wenders trova nel 3D, applicato per la prima volta alla danza, un dispositivo davvero efficace che gli consente di raggiungere il suo scopo, ovvero trasmettere l’esperienza fisica del teatrodanza e, quindi, le creazioni e la poetica di Pina.
La stessa tecnica riesce a mettere in risalto anche gli elementi naturali tanto cari alla coreografa: l’acqua, il terriccio, le rocce – in continuità con i corpi – ci portano dentro le sue pièces più famose, restituendocene tutta la potenza. Ci sono estratti di “Vollmond” e di “Le sacre du printemps”; e poi “Café Müller” con le sue iconiche sedie e le ripetizioni ossessive, e “Kontakthof” con i rapporti tra i sessi e i loro conflitti, presenti ad ogni età.
Il film, inoltre, ha una eccellente fotografia, opera di Hélène Louvart e Jörg Widmer, con vividi colori sia nella luce dei luoghi esterni che nella penombra degli interni, tra gli spazi urbani e la campagna, sui precipizi e lungo i corsi d’acqua, così come si avvale di una trascinante colonna sonora, ad opera di artisti vari, che rafforza le suggestioni già emanate dalle immagini.
Nasce un’opera di enorme impatto visivo ed espressivo, sensuale e profonda, tanto da coinvolgere anche un pubblico non esperto dell’arte coreutica, che non perde la sua forza nemmeno in una visione bidimensionale come quella dello streaming dello scorso venerdì.
Tale visione, organizzata da Bim Distribuzione, Fondazione Romaeuropa e MYmovie,s è stata preceduta da un dibattito live tra critici di danza e cinematografici, tra danzatrici e coreografe, in un evento virtuale che, in questo periodo di confinamento, rappresenta l’unica modalità a cui poter fare ricorso per avere una continuità nella vita e nel dibattito culturali.
Gli interventi, tutti interessanti, hanno illustrato la grande artista e la portata rivoluzionaria della sua arte, il suo forte legame con Wim Wenders e, quindi, la realizzazione del film, ma anche la dimensione più umana di Pina, tra aneddoti e ricordi.
Una testimonianza particolarmente toccante è stata quella di Aida Vainieri, danzatrice storica della compagnia e interprete del film che, con voce a tratti spezzata, ha parlato della coreografa, del dolore provocato dalla sua scomparsa ma anche del sentirla ancora viva grazie alla sua enorme eredità. Visibilmente emozionata, la danzatrice si è soffermata, quindi, sul documentario ritenuto un vero e proprio atto d’amore con cui tutti, regista e danzatori, hanno voluto dire grazie a Pina.
Wenders, grazie alla collaborazione imprescindibile dell’ensemble del Tanztheater, ha senza alcun dubbio realizzato un capolavoro che, celebrando la grandezza della sua amica e della sua arte, riesce a mostrare tante sfumature della personalità della Bausch e a fissare l’importanza di questa artista per la danza, e non solo, in tutto il mondo. Egli ci ha regalato uno dei migliori film sulla danza, tra le più antiche forme d’arte che accompagnano la vita degli esseri umani e che, visto il particolare momento che stiamo vivendo, e prendendo in prestito alcune parole di Pina, ci auguriamo possa continuare ad esplorare, ad interrogarsi e, guardandosi indietro, a riprendere il suo viaggio il prima possibile.