Molfetta. Gianni Antonio Palumbo, pugliese, classe ’78, scrittore versatile e prolifico di saggi e romanzi, è docente esterno a contratto presso l’Università di Foggia. Autore di un blog di critica militante che cura costantemente, lo incontriamo per conoscerlo meglio.
Lei ha scritto un giallo enigmatico, che ha riscosso successo, dal titolo “Per Luigi non odio né amore”. Ci racconta la genesi dell’opera e la nascita del titolo?
Il primo nucleo del romanzo è stato costituito dal sogno di Mattia, attorno al quale è nata poi la costruzione dell’intera opera. Altri spunti mi sono stati offerti dalla storia, pugliese e italiana, e da luoghi significativi: l’Istituto “Vittorio Emanuele II” di Giovinazzo, le architetture tipiche della Valle dei Trulli, scenari della mia città, Molfetta, o di quella in cui ho trascorso la mia infanzia, Brindisi… Ne è scaturito questo noir (meglio ancora lo definirei un romanzo psicologico), che ruota intorno a due istituzioni scolastiche: il Principe Amedeo, destinato a giovani orfani provenienti da tutta l’Italia, e l’Accademia Amaranta, collegio d’élite per i rampolli dell’upper class. Il tutto nell’anno 1978, cruciale nella storia d’Italia. Il titolo ammicca alla passione del professor Molteni, figura chiave del romanzo, per Robespierre. Si tratta di un’espressione dell’Incorruttibile, pronunciata in occasione del discorso per la morte di Luigi Capeto: “Non ho per Luigi odio né amore. Odio solo i suoi delitti”. Nel caso specifico, si declina nel mio invito a osservare un mondo complesso, ambiguo, sfuggente, senza pretendere di giudicarlo…
Nelle prime pagine incontriamo il personaggio Mattia Landi, il giovane docente del Principe Amedeo che è inspiegabilmente scomparso. Ci dica di più di questa figura, del suo concepimento e del suo evolversi.
La sparizione di Mattia Landi è il filo conduttore dell’intero romanzo. Giunto a Candevari, immaginaria città in provincia di Brindisi, in una data tristemente nota per la storia d’Italia (il 16 marzo 1978), viene assunto come insegnante di disegno presso l’Istituto Principe Amedeo, grazie all’intervento della direttrice, sua zia Laura. Mattia racchiude in sé le ferite di un servizio militare durante il quale ha subito abusi. È un giovane dalla psicologia complessa. Apparentemente dimesso, in realtà geniale, tende ad astrarsi dal mondo circostante ma all’occorrenza riesce a essere anche un ottimo osservatore. Attorno a lui gravitano due figure femminili: Eleonora, figlia di Molteni, sirenica e sbarazzina, e Lia, matura e materna, tutta dedita all’azione didattica.
Nel romanzo sono presenti diversi registri linguistici e stili, ritroviamo lingue straniere, tra cui il romeno, e la presenza del dialetto e del latino. Quanto può risultare importante per lei l’incidenza delle lingue in un contesto?
Ritengo che la cura dei dettagli linguistici sia fondamentale. Sin dai miei primi romanzi son stato definito un “alchimista linguistico” e la cosa non mi è affatto dispiaciuta. Il dialetto brindisino serve a generare un effetto mimetico, ad esprimere con immediatezza soprattutto i moti dei giovani adolescenti, gli studenti delle due istituzioni, veri protagonisti del romanzo. Il latino è legato alla matrice colta di una notevole componente dei personaggi. Il romeno di Adeliana Radec vuole essere un tributo ad una lingua splendida e musicale.
Risulta essere autore di molte opere di narrativa che hanno riscosso popolarità, ricordiamo “Il segreto di Chelidonia”, “Eternità. La leggenda di Destino e Sospensione”, “I Fantasmi di un poeta”. Quali saranno i suoi prossimi progetti? Sogni nel cassetto?
Ognuno di questi romanzi ha rappresentato il tassello importante di un percorso. “Eternità” era una fiaba minimalista, caratterizzata dal rovesciamento del mito dell’età dell’oro; “Il segreto di Chelidonia” una tessitura di storie accomunate da una forte incidenza della dimensione magico-onirica. Progetto di poter pubblicare la mia seconda silloge di poesie (la prima risale al 2004) e sto lavorando ad un testo teatrale, perché la drammaturgia è uno dei principali rivoli della mia scrittura. Continuo a portare avanti il mio blog di critica militante, il Giano bifronte critico (https://gianobifrontecritico.wordpress.com/) E poi c’è la ricerca, per me di vitale importanza, con la prosecuzione dell’attenzione per il petrarchismo e per Isabella Morra, ma anche l’interesse per Luigi Capuana (e la sua scrittura per giovanissimi) e per autori a mio avviso non adeguatamente valorizzati del Novecento italiano.