Napoli. È l’uomo del giallo partenopeo Maurizio de Giovanni, lo scrittore che ha saputo dare vita a personaggi amatissimi che, dopo averci conquistati attraverso le pagine dei suoi libri, hanno bissato il successo cartaceo mediante le trasposizioni televisive. La Rai, forte del clamore ottenuto con le prime due stagioni de “I Bastardi di Pizzofalcone”, adesso sta raccogliendo consensi anche con le vicende di “Mina Settembre” e proprio questa sera manderà in onda la prima puntata de “Il commissario Ricciardi”, interpretato da Lino Guanciale.
Le opere di de Giovanni hanno visto la luce solo nel 2005 ma in pochissimi anni l’autore ha saputo conquistarsi un ruolo cardine nel panorama letterario italiano: i suoi “bastardi”, in particolare, hanno raccolto entusiastici consensi ed è proprio su un caso di loro competenza che focalizzeremo la nostra attenzione. “Nozze”, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Einaudi, ha come protagonista Francesca Valletta, una 28enne brutalmente uccisa alla vigilia del suo matrimonio. Un delitto efferato, inspiegabile, perché la giovane non ha nemici, anzi, la stima e l’affetto nei suoi confronti sono a dir poco corali. Nella vita di Francesca, però, c’è un segreto che nessuno conosce e che i bastardi faticheranno non poco a svelare. Gli agenti di Pizzofalcone rischiano di perdere l’esclusiva sul caso perché l’antimafia, nella persona di Diego Buffardi, è convinta che l’omicidio sia unicamente riconducibile alla famiglia del clan Sorbo, il cui erede Giovanni è il promesso sposo della vittima. Una spiegazione fin troppo scontata che non convincerà nemmeno per un attimo i poliziotti.
Gli agenti di Pizzofalcone capitanati dal commissario Luigi Palma non necessitano di molte presentazioni: chi segue le loro vicende dagli albori sa che hanno dovuto lottare a lungo per costruirsi una solida credibilità a causa delle ignobili azioni perpetrate dai loro predecessori. I veterani Calabrese e Pisanelli, gli unici poliziotti superstiti e innocenti provenienti dalla squadra precedente, erano pronti ad una imminente chiusura del commissariato del Monte di Dio ma l’arrivo di Lojacono, Aragona, Di Nardo e Romano ha ben presto ribaltato le sorti già segnate permettendo in breve tempo la riabilitazione della neonata squadra. I nuovi arrivati, però, sono accomunati da un passato turbolento alle spalle. Di certo non si può definirli agenti integerrimi, anzi, il loro background cela diverse ombre. Al contrario, però, queste macchie saranno ben presto cancellate dall’ottima risoluzione dei casi con i quali i bastardi dovranno misurarsi. Il ricorrere, talvolta, a metodi non proprio ortodossi sortirà effetti insperati che, anziché confermare la pessima opinione sul commissariato, farà sì che le cronache elogino sempre più spesso gli ex reietti.
Accanto alla dettagliata narrazione del caso de Giovanni pone costantemente le vicende personali degli agenti del commissariato napoletano riuscendo con rara maestria a delineare la psicologia di ogni personaggio, facendo emergere i tratti salienti e le fragilità di ognuno. Spesso procede effettuando raffronti per coppie, come nel caso del magistrato Laura Piras e del vicecommissario Elsa Martini, due donne volitive e affascinanti dall’animo complesso e ricco di sfaccettature. Insieme al dipanarsi del caso, l’autore lascia che i pensieri dei personaggi procedano di pari passo, così, mentre si lavora alla risoluzione dell’omicidio, accade sovente che gli agenti si perdano nei meandri della propria mente ma questo espediente narrativo, anziché rallentare il racconto, fa sì che la storia diventi ancora più avvincente. Anche l’animo femminile è indagato con attenzione, basti pensare alla delicata sensibilità di Ottavia Calabrese che immagina il futuro radioso che avrebbe atteso la vittima se la ferocia dell’omicida non avesse reciso come un fiore la sua gioventù, oppure al raffronto tra due giovani donne, Vittoria, figlia di Elsa Martini, preadolescente dall’animo già maturo, e Marinella, figlia dell’ispettore Lojacono, spensierata e ricca di fiducia mentre si affaccia alla vita adulta. Non mancano i momenti esilaranti quando ad entrare in scena è l’agente Aragona, tronfio latin lover che indossa improbabili outfit bocciati da chiunque, un giovane che sotto la scorza del vanesio scugnizzo cela un animo ingenuo soprattutto quando si relaziona con il vicecommissario Pisanelli prossimo al pensionamento, un uomo dal sapore antico ma nella sua accezione più positiva.
L’autore racconta la sua Napoli tratteggiandone la bellezza sfacciata, abbacinante, senza tralasciare le ferite che la oltraggiano. Il suo è un occhio che non giudica, bensì si limita ad illuminare le dicotomie di una realtà multiforme troppo spesso incompresa.
Lo stile scrittorio è lineare nei dialoghi, privo di fronzoli, uno schema sapientemente costruito che consente di seguire con estrema facilità le indagini, quasi come se il lettore fosse parte integrante del racconto. Anche le descrizioni fisiche sono vincenti e spesso si torna al passato dei bastardi, un espediente che consente anche ai neofiti della storia di non perdersi. I periodi sanno essere brevi quando occorre accrescere la suspense e lunghi quando è il momento di dare voce ai pensieri o a situazioni più articolate. Un linguaggio che sa modellarsi sulle circostanze, senza dubbio.
Uomini di legge che a loro volta sono sopraffatti dalla brutalità della vita, la loro ma anche quella altrui. Una lotta quotidiana senza esclusione di colpi che impone il trionfo della giustizia ma che, contemporaneamente, non lascia scampo ai dissidi interiori di chi combatte affinché la verità possa emergere.
Forse il successo dei bastardi di de Giovanni consiste proprio in questo: le loro imperfezioni, unendosi, si annullano, anche se momentaneamente, e le differenze di ognuno non sono un ostacolo ma diventano forza motrice. E se la banalità del male potrebbe allearsi con la retorica per pronunciare parole scontate sulle problematiche che affliggono una città complessa come Napoli, di cui sovente si ricorda solo ciò che la deturpa, a noi piace gettare una luce su quanto di bello possiede questa realtà. Che sia un’opera d’arte, una musica soave, un paesaggio, un libro avvincente, poco importa. La bellezza va raccontata, sempre. Soprattutto quando rischia di essere obnubilata da una gratuita malvagità.