Milano. A Zaza, “Se ho le lacrime agli occhi questa sera è perché lei, mia cara Zaza, è morta oppure perché io, invece, vivo? Dovrei dedicarle questa storia: ma so che lei non è più da nessuna parte e questo nostro dialogo è solo un artificio letterario. Del resto, Zaza, questa non è veramente la sua storia, ma soltanto una storia ispirata a noi. Lei non era Andrée, io non sono questa Sylvie che parla in mio nome”.
Con queste parole, la scrittrice e filosofa francese Simone de Beauvoir – una delle principali voci del movimento femminista del secolo scorso – apre il suo romanzo inedito scritto nel lontano 1954 e pubblicato solo di recente da Ponte alle Grazie (Adriano Salani Editore), con la traduzione di Isabella Mattazzi. Il libro è inoltre corredato da una serie di lettere scritte nell’arco temporale tra il 1920-1929 e da alcune fotografie che ritraggono le due amiche sin dal tempo del loro primo incontro, avvenuto alle scuole medie. Sono 154 pagine di narrazione aventi un taglio decisamente intimistico, tenero e appassionato che tentano di percorrere ancora una volta uno dei temi più cari di de Beauvoir: la perdita della sua giovane amica Elisabeth Lacoin, detta “Zaza”.
La scrittrice infatti, a più riprese nei suoi romanzi, ha cercato di ricucire il filo spezzato di una vita eccezionale, come eccezionale è stata la loro amicizia. Un’assenza che diviene presenza nell’autenticità di un sentimento mai finito verso l’amica, anche dopo la sua morte, avvenuta prematuramente e all’improvviso, il 25 novembre 1929, un mese prima di compiere 22 anni. Una catastrofe imprevista che tormenterà a lungo Simone de Beauvoir – si legge nella postfazione al libro – e che la stessa ha cercato di farci i conti anche in altri scritti maturando la consacrazione alla letteratura come unico rimedio per “vincere il nulla e l’oblio”. Per fare memoria.
Nel 1958 raccontò la storia della vita e della morte di Zaza all’interno di un progetto di scrittura autobiografica denominato “Memorie di una ragazza perbene”. Come tutte le grandi opere della letteratura mondiale, anche “Le Inseparabili” restituisce non solo la storia di un’amicizia fondamentale che diviene universale, decisiva per gettare le basi all’intera personalità della scrittrice, ma anche tutta la riflessione sul contesto socio-culturale in cui la storia è calata. Si tratta di una società ostinatamente orientata alla cultura e al comportamento borghese di stampo cattolico, ancorata alle pesanti e asfittiche tradizioni, ai dogmi religiosi. Una società nemica dello sviluppo della personalità in qualsiasi direzione; nemica dell’indipendenza e dell’autonomia di pensiero. Una società colpevole della morte spirituale dell’amica Zaza, rimasta imprigionata all’interno delle fervide direttive familiari, pur avendole combattute per tutta la sua breve vita.
Andrée Gallard – Zaza – ha nove anni quando conosce Sylvie e già mostrava tutta la sua specialità. “Trovavo sconcertanti la sicurezza di Andrée e il suo eloquio rapido e preciso”; “era davvero minuta ma camminava con la sicurezza di un adulto”; “in segreto mi dicevo che Andrée era sicuramente una di quei bambini prodigio di cui più tardi si racconta la vita nei libri”. Sono righe di sconfinata tenerezza nelle quali si riscontra la profonda adesione alla vita, nonostante le censure di un piccolo mondo moralista. Sylvie fu letteralmente rapita da questa bambina minuta dagli occhi brillanti, dal suo coraggio, dalla sua personalità della quale, inevitabilmente, si innamora. Si scorge un sentimento altissimo di devozione per l’altro, incontenibile, di matrice amorosa e amicale insieme ma anche di stima, di sorellanza, di comunione e solidarietà. Un rapporto che non conosce interruzione, che non la prefigura. “Vivere senza di lei non era vivere. La mia gioia si trasformò in angoscia: ma allora, mi chiesi, se lei morisse che ne sarebbe di me? […] e poi ancora, “l’idea non mi faceva paura perché sapevo che presto ci saremmo ritrovate insieme alle porte del paradiso”. Da queste parole si scopre un’appartenenza, un sentire condiviso che non può fare a meno dell’altro perché l’amicizia, quando è vera, è un’adesione totalizzante, è essere insieme. L’amica Zaza è un’altra Sylvie, se vero è che “l’amico è un altro se stesso” (heteros autos), come ha scritto il filosofo Giorgio Agamben in un suo fortunatissimo saggio.
Come non dare ragione allora a Simone de Beauvoir quando, alla pagina 176 di “Le Inseparabili”, scrive che: “Non c’è cosa più dolce al mondo che sentire che c’è qualcuno che può capirci perfettamente e sulla cui amicizia possiamo contare in tutto e per tutto”. Sono queste le folgoranti pagine in cui si traccia il pensiero, la natura e la cifra stilistica orientata alla libertà della donna come essere unico, indipendente e libero, oltre il confine terreno della vita.