Firenze. Paolina è stata a lungo la sorella “dimenticata” del grande poeta Giacomo Leopardi che aveva contato molto nella sua vita ma, grazie ad Elisabetta Benucci, valentissima studiosa “leopardista” che già tre anni fa aveva pubblicato le lettere di Paolina e che ha scritto anche una sua biografia intitolata “Vita e letteratura di Paolina Leopardi”, la celebre sorella è uscita fuori dall’ombra del “favoloso” fratello, risplendendo così di luce propria.
La prima realtà che emerge da questa “Vita” è l’enormità degli ostacoli che Paolina incontrò nella sua famiglia, stretta dall’oppressione genitoriale della madre, la contessa Adelaide. Era questa una situazione nota da sempre per quanto avesse fatto soffrire già il fratello Giacomo, ma la biografia mostra chiaramente che Paolina, in quanto donna, dovette sopportare sofferenze ancora maggiori, fino alla morte della madre, nel 1857: la sua fu, infatti, una “non vita” come ella stessa scrive in una lettera del 1838: “la vita mia è sempre una morte, senza mai morire e senza mai aver vissuto”.
Infatti, non si vede come si potesse chiamare vita quella della povera ragazza, perennemente reclusa nel tetro palazzo Leopardi, con la proibizione della madre di allacciare qualunque amicizia, anche se femminile e soltanto epistolare, sorvegliata a vista giorno e notte dall’implacabile Adelaide, che le impediva perfino di affacciarsi alla finestra.
Nella narrazione della Benucci vediamo sgranarsi con una lentezza incredibile questo susseguirsi di penosi pensieri che durano anni, nei quali si consuma la giovinezza di Paolina. A lungo la ragazza spera di evadere da quella prigione domestica con un matrimonio e i Leopardi condussero molte trattative per cercare di collocare la figlia, ma si conclusero tutte con esito negativo, fornendo a Paolina sentimenti di frustrazione e fallimento. Ciò fu in gran parte dovuto agli ostacoli frapposti dai genitori, ma si ebbe un caso nel quale fu la stessa Paolina a rifiutare un matrimonio cui i genitori non si opponevano, con un tal Ranieri Roccetti. Quest’ultimo era un giovane bello, un “signore marchegiano” che la ragazza sentiva di adorare, un amore “ardente, furioso”, al quale però Paolina si sforzò di rinunciare, probabilmente perché il Roccetti aveva fama di dongiovanni. Ma fu una rinuncia che rimpianse per tutta la vita, poiché, per sua stessa ammissione, l’immagine del bel Ranieri le rimase per sempre “indelebilmente scolpita”.
Un’inaspettata occasione di riscatto si presentò a Paolina quando si trovò ad avere l’incarico di redattrice della testata “La Voce della Ragione”, fondata dal padre nel 1832 e pubblicata fino al 1835. Un giornale ultrareazionario e sanfedista, che Monaldo Leopardi diresse, animato, come scrive la Benucci, da un “delirio controriformatore”. Vi scrissero molte personalità del cattolicesimo più reazionario, ma la vera anima del giornale fu Paolina, che praticamente svolse le funzioni di redattrice – capo e di instancabile articolista e traduttrice.
Per Paolina gettarsi con tutta se stessa in quel lavoro, che le occupava tutto il suo tempo ma le offriva, finalmente, anche la possibilità di poter mettere a frutto tutta la sua cultura e i suoi studi, significò trovare una ragione di vita. Quando il giornale del padre fu soppresso iniziò a collaborare alla “Voce della Verità”, una testata modenese ancor più reazionaria. La sua collaborazione consisteva sia nel ruolo di traduttrice sia di articolista, tanto che comparvero più di trecento suoi articoli.
Ella si discostò molto dalle idee dell’amatissimo fratello Giacomo e ciò le procurò un grande dolore. Nel giugno 1837 la devastante notizia della morte del poeta portò in Paolina una vera e propria ossessione, rappresentata dall’angoscioso dubbio sulla salvezza dell’anima del carissimo Giacomo.
Ad ogni modo, Paolina non fu solo giornalista ma anche scrittrice. Nella sua biografia la Benucci ne parla, rilevando i pregi letterari delle opere della Leopardi, di cui lei stessa ha curato la pubblicazione: “Il viaggio notturno attorno alla mia camera”, una “Vita di Mozart”, “La conversione di Ratisbonne”.
Nei suoi ultimi dodici anni di vita la sorella minore di Giacomo poté coltivare alla luce del sole le vecchie amicizie, stringerne di nuove, viaggiare. Così Paolina, una volta divenuta padrona di sé, volle girare l’Italia, spesso con veri e propri pellegrinaggi nei luoghi dove aveva soggiornato il fratello: così la vediamo andare, sulle orme di Giacomo, a Firenze, Roma, Napoli e Pisa, ma anche spingersi oltre, fino in Puglia a Foggia, Bari e Brindisi, ricevendo dappertutto accoglienze calorose come sorella del grande poeta.
E sempre sulle orme del fratello Paolina fece il suo ultimo viaggio: volle, infatti, recarsi a Pisa per vedere la città della quale Giacomo si era detto incantato.