Napoli. L’essere umano al tempo della sua replicabilità, ovvero “chi sono io se posso essere replicato?” Questo è il tema sviluppato e indagato dallo spettacolo “A Number” di Caryl Churchill, un thriller psicologico che combina la speculazione scientifica con un moderno affresco della relazione padre-figlio, in scena giovedì 14 febbraio alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 17) al Teatro Elicantropo di Napoli, nella traduzione italiana di Monica Capuani e la regia di Luca Mazzone.
Il segno distintivo di “A Number”, presentato da Teatro Libero di Palermo e interpretato da Giuseppe Pestillo e Massimo Rigo, è l’impronta maschile del dramma, incentrato sul confronto seriale tra un padre e ciascuno dei suoi figli, tutti maschi e tutti identici, almeno a prima vista, giacchè sono stati generati tramite clonazione in vitro.
L’autrice britannica Caryl Churchill ambienta la vicenda in un contesto distopico ma non fantascientifico, e neppure futuribile, tecnicamente plausibile nel presente, grazie ai conseguimenti dell’ingegneria genetica.
S’interroga sul tema della replicabilità, sul fatto che l’uomo, oggi, con l’avanzamento vertiginoso del progresso scientifico, può sostituirsi a Dio, e creare tutti a sua immagine e somiglianza, tutti i suoi figli così come li vuole, con lo stesso materiale grezzo di base, perfetti, carini.
“A Number” è uno spettacolo che pone l’accento sul valore della vita umana nella sua unicità, nell’irripetibilità di ciascun uomo, attraverso un’indagine che oltrepassa limiti temporali e spaziali. Il rapporto tra padre e figlio disvela la sua dimensione essenziale del mito, quello fatto di legami atavici, che sottendono, nella relazione stessa, l’elemento dell’unicità e della natura.
Natura e Scienza divengono, dunque, poli di una nuova contrapposizione che vede Salter, un padre, e Bernard, un figlio, giocare una danza tra la vita e la morte, tra l’amore e l’odio, tra la natura, appunto, e la scienza.
Il figlio diventa testimone di un fallimento, quello del padre, cui si vuole porre rimedio dando un’altra chance, un’altra mano in un gioco dove si ricomincia, perché si può replicare, forse all’infinito.
La messinscena realizza un contesto drammaturgico decisamente forte, ma sostanzialmente epico, dove il plot si dispiega progressivamente all’indietro, secondo le modalità che contraddistinguono il giallo.
I singoli frammenti rivelatori, attraverso la narrazione discontinua e, a tratti, surrealistica, si accumulano come tessere di un puzzle, che vanno a ricomporre, faticosamente, il mosaico della verità.