Milano. Un fine settimana tutto mitteleuropeo, quello che va da giovedì 22 ottobre fino a domenica 25 ottobre, e che vede accedere all’Auditorium di Milano un giovane e talentuosissimo interprete, la cui classe è risultata fin da subito lampante al grande pubblico. Si parla di Aaron Pilsan, pianista corteggiato anche l’anno scorso da laVerdi, e che riesce finalmente a calcare il palco di Largo Mahler. Il virtuoso austro-rumeno, classe 1995, è stato definito “elegante ma non affettato, serio ma non serioso, composto ma non impettito”, è insieme all’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi” giovedì 22 ottobre alle ore 20.30, venerdì 23 ottobre alle ore 20.00, sabato 24 ottobre alle ore 18.00 e domenica 25 ottobre alle ore 16.00, e affronta il dodicesimo dei ventisette concerti per pianoforte e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart, il “K. 414 in La maggiore”, eseguito per la prima volta a Vienna nel 1783, una composizione pensata anche per essere eseguita da un’orchestra di soli archi, anche per favorirne la diffusione fra i musicisti dilettanti, caratteristica dal primo movimento, che mostra un primo tema esposto dagli archi, riecheggiando uno schema che fa pensare all’intimità di una musica per quartetto. D’altro canto, in questo concerto mozartiano si affida al solista molto spazio all’interno della partitura, terminando infatti ognuno dei tre movimenti con una lunga cadenza, che quasi si raddoppia nel rondò finale.
Un omaggio che Aaron Pilsan offre a un suo illustre connazionale, insieme alla sapiente e autorevole bacchetta del “padrone di casa” Claus Peter Flor, Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”, che nella seconda parte del programma resta nei paraggi dell’Austria mozartiana, ma si sposta di un secolo o poco più, eseguendo la “Suite per orchestra d’archi” di Leóš Janàček, un lavoro in sei movimenti composto tra il 1877 e il 1878. Un’opera giovanile del compositore boemo, con cui ultimamente laVerdi si è già confrontata nell’ambito del concerto inaugurale del 20 settembre, eseguendo l’epica rapsodia sinfonica “Taras Bulba”, ispirata all’omonimo eroe cosacco raccontato da Gogol. Se lo Janàček di Taras Bulba è uno Janàček maturo che cerca di rispondere alla necessità di ricerca di un folklore attraverso il mondo della leggenda fondativa, quello della Suite per orchestra d’archi è uno Janàček più “positivista”, che si dedica a letture riguardanti l’estetica, la psicologia musicale e la psicoacustica, letture grazie alle quali può sostenere teoreticamente alcune sue intuizioni riguardo alla possibilità di affrancare l’armonia dalle rigide norme scolastiche. In questi anni Janàček giunge alla conclusione che ogni accordo può succedere a un altro al di fuori delle regole codificate della concatenazione armonica, a patto che questo procedimento risponda alle esigenze comunicative. Convinzione di cui si permea indubbiamente la “Suite per orchestra d’archi”.