Roma. Dopo giorni in cui ci siamo rincorsi, sono riuscita a raggiungere telefonicamente Antonio Barbato, cantautore e polistrumentista reatino, che da alcuni anni si racconta sui social e da novembre di quest’anno sta riempiendo i locali romani dove si esibisce con la sua band: Alessandro “sax” Grasso (chitarra), Marco Desideri (chitarra), Marco Bruno (basso) e Julian Bellisario (batteria). Subito mi dichiara: “Sono con una bella birra davanti”.
E così inizia la nostra piacevole chiacchierata, come due amici che si conoscono da tanto e si incontrano la sera al bar e, accantonando la routine lavorativa, parlano della propria visione del mondo. Antonio precisa: “Quando sei creativo hai visioni diverse delle cose e quando fai le stesse cose tutti i giorni ti sembra di impazzire, il mondo ha un’altra velocità e la testa va in una direzione diversa”.
Mi confessa, lui – che di musica vorrebbe vivere – “per il momento faccio un lavoro si interessante, ma che mal si concilia con il mio desiderio di scrivere e cantare”.
Quali sono le tue origini?
Vengo da un piccolo paese, sempre nel Lazio, in provincia di Rieti, Rivodutri, che non supera i 200 abitanti. Il paese, nonostante sia piccolissimo, ha una banda musicale molto bella.
Facevi parte della banda musicale?
Facevo parte della banda e ho iniziato a suonare molto piccolo, intorno agli otto-nove anni, suonavo la tromba e l’ho suonata per tanti anni, circa una quindicina. Le basi musicali, la lettura della musica, la conoscenza della tecnica musicale le ho apprese grazie alla banda.
C’era un maestro straordinario, che adesso purtroppo non c’è più. Valerio Santucci. Lui era una persona incredibile e, a tutti noi ragazzini, ha insegnato la musica, ci ha insegnato a crescere, ci ha insegnato a radicare dentro la passione e dentro l’impegno e quei frutti, tutti noi, li raccogliamo ancora oggi.
La tromba oggi non è il tuo strumento?
No, questo è stato l’inizio del mio fare musica, la suono volentieri ancora tutte le volte che riesco ad andare con la banda ma lo strumento che utilizzo oggi per raccontare le mie storie è la chitarra acustica. Suono la chitarra e canto.
Componi sia la parte musicale che i testi?
Compongo la base musicale delle mie canzoni e i testi. Le canzoni poi vengono sviluppate insieme ad Alessandro Grasso, grande amico e grande musicista, nel suo piccolo studio, per poi essere completate insieme a Marco Desideri, Marco Bruno, Julian Bellisario, i miei musicisti e punti di riferimento imprescindibili.
Sono molto aperto ad ascoltare, provare e inserire spunti e sperimentazioni che vengono da questi artisti che sono parte del progetto.
Quanto ha influenzato il posto in cui vivevi in quello che hai scritto e scrivi?
Tantissimo, considera che la prima canzone in assoluto che ho scritto è “Il Vento ed io”, si intitola così perché parla della solitudine positiva di quei luoghi, dove ci sono poche distrazioni. Lì sei proprio a contatto con te stesso. La canzone, che è una canzone d’amore, parla di una bambina in particolare, oltre che di me. Ma è dedicata a tutti quei bambini che come noi hanno imparato a correre insieme al vento. Per rispondere alla domanda, il posto ha influenzato e influenzerà molto ancora.
Di questi posti sono innamorato e sono questi posti che mi hanno dato un po’ l’idea, soprattutto di partenza. Perché ti ripeto, la prima canzone è stata quella, però poi molte altre canzoni sono legate a questi elementi: il vento, il fiume, il silenzio, la notte, le lucciole. Molti mondi di cui racconto partono da lì.
A quali canzoni fai riferimento?
Beh, “La Canzone della Volpe” parla sempre di un viaggio interiore, notturno, alla ricerca del proprio io presente. Con il videoclip, girato da Mattia Chiarioni, abbiamo scelto i luoghi dell’entroterra laziale.
Siamo andati in provincia di Viterbo, presso le cascate di Chia. Ho cercato i profili caratteristici della mia terra, questo sicuramente, e insieme abbiamo voluto omaggiare Pier Paolo Pasolini, ricalcando alcune scene del “Il vangelo secondo Matteo” girate negli stessi luoghi. Da un lato significativo per raccontare la nuova nascita del protagonista e insieme importante per noi perché quell’anno cadeva la ricorrenza del centenario della nascita del Poeta.
Mi pare che il tuo paese e il tuo ambiente naturale non ti abbiamo abbandonato anche se ti sei trasferito a Roma.
No, è un posto dove ogni volta che posso, ritorno. Ma non scappo da Roma, la amo, l’ho scelta e lei mi ha abbracciato come fosse il mio paese, qui mi sono costruito una vita piena di amici e musicisti straordinari.
Roma mi ha dato possibilità diverse rispetto a Rivodutri: conoscere l’arte, la musica, la poesia, i volti, quelli di cui scrivo, fanno parte delle prime serate romane. “Ivy” è uno di questi volti di cui mi innamoravo perdutamente. Realtà affini e diverse da quelle che incontravo nei miei posti. A Roma chiaramente la solitudine e il dolore sono immensamente più grandi e le distrazioni per colmare questa solitudine e questo dolore possono diventare più alienanti, drammatiche e profonde.
Forse perché era l’inizio ed eri affascinato da questo mondo così diverso dal tuo?
Chiaro, ma non ho lasciato andare il vecchio per abbracciare il nuovo e non lascio che uno condizioni l’altro. Ora vivo a Roma, lavoro a Roma, suono a Roma, ma ogni volta che posso torno a casa. Ma non è una condizione definitiva, nulla lo è.
In genere è sempre così, per poter amare le proprie origini bisogna stare lontani per un po’, anche maturare e tornare indietro. Tu a 18 anni sei andato via?
No, dai 18 ai 25 anni ho lavorato in fabbrica. Una fabbrica di materiale plastico, un’altra vita molto straniante. Una suggestione di cui vorrei raccontare un giorno. Dai 23 anni ho cominciato a frequentare Roma. A 25, quando la fabbrica ha chiuso, sono corso qui per amore. Poi essendo un tipo molto espansivo, dopo un mesetto ho conosciuto tutti quei personaggi che avrebbero fatto parte, in seguito, del mio mondo musicale.
Parli della tua band?
Sì.
Invece, come riferimenti musicali, a chi ti ispiri, chi senti più vicino?
Il mio artista preferito è senza dubbio Fabrizio De André. Il primo poeta di grande spessore a cui mi sono avvicinato. La sua scrittura, il suo cantare per e con gli emarginati. La strada nonostante tutto, le puttane, i nani, gli alcolizzati, i figli della luna, trasformando la loro posizione, trasformando i loro drammi in sogni di smisurata bellezza. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
Da una parte pare di sentire l’eco di De André e dall’altra parte Guccini, ma in una versione moderna e rockeggiante.
Beh, prima di tutto ti ringrazio per l’accostamento, la cosa mi lusinga ma preferisco allontanarmi da tali paragoni per ovvi motivi.
Guarda, quegli anni sono stati unici e irripetibili secondo me. Moltissimi cantautori hanno tirato fuori pezzi indimenticabili che ancora oggi ascoltiamo e che ancora oggi ci ispirano. Le bellissime ballate di Guccini, un tango tra gli amori di gioventù e il sentimento di ribellione politica che in quegli anni infiammava i cuori dei giovani. Il sentimento elettronico di Battiato che ci ha fatto ballare con ritmi travolgenti e fatto riflettere profondamente sulla spiritualità dell’essere. Le cantate di De Gregori, il principe, tanto popolari con Giovanna Marini quanto eleganti e indimenticabili con Dalla. Il rock e i testi pungenti di un gigantesco Ivan Graziani.
Ma si potrebbe stare a parlare di questo per ore, Rino Gaetano e i gruppi PFM, BANCO e CCCP. Un immenso Lucio Battisti di cui sono orgoglioso compaesano: il mio paese Rivodutri e il suo paese d’origine Poggio Bustone sono praticamente attaccati e proprio di Poggio Bustone è lo zoccolo duro di amici e fan che mi seguono ad ogni concerto e di Poggio Bustone è il mio chitarrista Marco Desideri con cui sono praticamente cresciuto e che è stata la mia spalla fin dall’inizio di questo progetto.
Sei ritornato nel tuo paese a fare un concerto?
Sì, ho suonato a giugno, ma un piccolo live acustico davanti al Bar! Il bar Roma, ho passato molto più tempo lì che a casa. Dalle mie parti suono comunque nei paesi limitrofi Poggio Bustone appunto, Cittaducale, Rieti. Batto un po’ tutto il territorio ormai.
Per te è più importante il testo o la musica, oppure vanno di pari passo?
Questa è una bella domanda. Sono partito, da ragazzo, con l’idea chiara che fosse il testo la cosa più importante. Una quindicina di anni fa ho visto un documentario su Francesco Guccini, mi sembra ci fosse un accostamento a una corrente pseudo bit italiana (e quindi Fernanda Pivano e De Andre) – su questo potrei confondermi ma in sostanza cosa ho scoperto? Che alcuni di questi cantautori sviluppavano una melodia appoggiando sopra una musica la voce ma utilizzando delle parole inventate che riecheggiavano, scimmiottavano parole inglesi. Un vocabolario inventato.
E la prima canzone che ho scritto “Il Vento ed Io” nasce da questo gioco. Infatti, la primissima versione diceva “this is the rain, by the way they lookin’ your eyes” che non vuol dire nulla! ma che serviva a dare una ritmica ed una melodia che si sarebbero trasformate poi nel testo definitivo che è oggi.
Successivamente ho proseguito partendo dai testi, “divertendomi” poi con piccoli programmi musicali a trovare linee melodiche prima di definire i vari strumenti.
Poi, a contatto con musicisti molto bravi, spesso la sera intorno a un tavolo, non nego che le canzoni stanno nascendo anche nel modo opposto, cioè appoggiando la voce su idee musicali.
È un modo diverso di lavorare, ci sono tanti modi e non voglio mai perdere il gioco e la sperimentazione nel mio fare. Il testo non perde di valore, anzi, poi per ricondurlo alla musica mi devo sempre ritagliare uno spazio mio, meditativo, per inserire i temi a me cari.
Programmi futuri?
Ce ne sono tanti. L’uscita dell’album sicuramente, su cui stiamo lavorando molto per portarlo il più vicino possibile all’idea che ho nella testa.
Ma già stiamo lavorando su altre canzoni, nuovi singoli, molti dei quali già suoniamo durante i vari live. A livello di concerti posso dire che il 3 agosto sarò a Cittaducale, vicino Rieti, piena di giovani, dove mi hanno chiesto di aprire la loro festa estiva che durerà un mese.
Ero stato a suonare lì qualche tempo fa per la prima volta, è piaciuto il mio spettacolo e hanno fatto di tutto per riportarmi di nuovo. Sarà una bellissima situazione in una piazza molto grande e molto suggestiva.
Il 21 settembre saremo a suonare al Tiberis Spiaggia sul Tevere, altro posto dove mi hanno richiamato a suonare per la seconda volta e questo significa che quello che cerco di trasmettere sta arrivando. Poi stanno entrando altre date a Roma che comunicherò il prima possibile.
Antonio generosamente si apre, senza filtri, ed è molto piacevole ascoltare questo flusso di pensieri che poi diventano ricordi, immagini e suoni. Ora non resta che ascoltarlo dal vivo, perché lì – secondo me – nell’energia che trasmette, c’è la chiave del successo che sta riscuotendo.
Crediti foto: Massimiliano Petricca.
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