Torino. Martedì 30 aprile alle ore 20.45, alle Fonderie Limone di Moncalieri, debutta in prima nazionale “Amleto” di William Shakespeare, con la traduzione di Cesare Garboli, la consulenza drammaturgica di Fausto Paravidino, per la regia di Valerio Binasco, una nuova produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
Lo spettacolo è interpretato da (in ordine alfabetico): Fausto Cabra (Laerte), Vittorio Camarota (Marcello/Guildenstern), Fabrizio Contri (Spettro/Attore), Christian di Filippo (Orazio), Michele Di Mauro (Re), Mariangela Granelli (Regina), Giulia Mazzarino (Ofelia), Nicola Pannelli (Polonio/Becchino), Mario Pirrello (Francisco/Osric), Gabriele Portoghese (Amleto), Franco Ravera (Becchino), Michele Schiano Di Cola (Rosencrantz/Bernardo). E con gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino: Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Cristina Parku, Davide Pascarella.
Le scene e le luci di questo nuovo allestimento sono di Nicolas Bovey, i costumi di Michela Pagano, il suono di Claudio Tortorici. Regista assistente Simone Luglio. Assistente ai costumi Silvia Brero. “Amleto”, che è inserito nella Stagione in Abbonamento del Teatro Stabile di Torino, sarà replicato alle Fonderie Limone fino a domenica 19 maggio.
Valerio Binasco dirige per la prima volta “Amleto” calandosi nel groviglio di tormenti e sentimenti del Principe di Danimarca con una personalissima, sincera, empatica lettura della tragedia shakespeariana. Dopo aver interpretato il ruolo di “Amleto” con la regia di Carlo Cecchi, che gli valse il premio Ubu nel 1998, il direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, con questa nuova messa in scena dell’iconica tragedia shakespeariana, tiene a battesimo una compagnia stabile di attori che farà base alle Fonderie Limone di Moncalieri: la Lemon Ensemble. Nel suo percorso di regista in cui ha alternato titoli contemporanei a grandi classici fa dunque irruzione Amleto con le sue tormentose domande, i suoi dèmoni e la sua feroce malinconia: “una trappola – dice il regista – per catturare l’anima”.
“Una tragedia che sembra ci sia stata donata apposta per risvegliare qualcosa di sopito a morte dentro di noi”, continua Binasco. Che fa della tempesta nel cuore del giovane Principe una tragedia universale e privata, attraverso la quale dar voce al proprio, personale groviglio di sentimenti e paure: “non so trovar di meglio che tentare, ancora una volta, di andare a prendere uno per uno tutti quei sentimenti (fantasmi?) che ci fanno la voce grossa dentro e ci costringono ogni giorno, e per più d’una volta al giorno, a recitare un “essere o non essere” che non arriva mai da nessuna parte”. Come quello, iconico, di Amleto, terribile sequenza di punti interrogativi, ritorti e arcigni, più spaventosi di qualsiasi diavolo.
“Sotto la dura e pesante scorza di un dramma notturno di ambiente Monarchico, Cortigiano, Guerriero…, con tanto di Fantasma del castello, Amleto per me è un dramma famigliare. Una famiglia primaria, a immagine e somiglianza della famiglia moderna, tutta protesa a ricreare l’Eden (commovente progetto di ogni uomo e donna, condannati a riscoprire ogni volta, e chissà ancora per quanti millenni, che la parola Eden se ne porta sempre accanto un’altra, un aggettivo, ed è ‘perduto’)”. Su questo tema Cesare Garboli, di cui per questa messa in scena viene utilizzata la “leggendaria” traduzione pubblicata da Einaudi nel 2009, scriveva: “Ma Amleto è un personaggio prigioniero di un elemento più primordiale dell’acqua e fuoco: la famiglia. La sua appartenenza a un sistema famigliare corrotto gli regala tutta l’ambiguità e la negatività necessaria a farcelo apparire fraterno. Il suo paradosso è lo scontro di una natura intellettuale e mentale col sistema barbarico che può solo rifiutarla. Amleto pensa, ed è questa la sua debolezza e il suo errore. A fare la debolezza di Amleto è dunque la sua modernità. E questa modernità è inseparabile dai rapporti di odi et amo, dal rapporto conflittuale coi valori famigliari”.
“Fare Amleto – scrive ancora Binasco nelle sue note allo spettacolo – è come scendere in guerra contro il buio, contro il silenzio, contro il disamore. E perdere. Buio, silenzio e disamore sono tra i molti soprannomi della morte. Chi sia destinato a vincere, in guerra contro la morte, si sa. Ma si combatte lo stesso. Mi trovo immerso come tutti in un groviglio di sentimenti. E ne ho paura….Tutti gli stati d’animo sono utili, quando si comincia una impresa artistica, anche l’odio, la paura e il disamore. Ci sono opere che chiedono, anzi, di essere conosciute per primi dai nostri sentimenti oscuri…”.
Valerio Binasco dal 2018 è il Direttore artistico del Teatro Stabile di Torino. Le sue scelte registiche si sono spesso orientate verso il teatro contemporaneo, con lavori da Pinter, Fosse, Paravidino, McPherson, senza dimenticare i grandi classici, fra questi citiamo le ultime produzioni del Teatro Stabile di Torino: il Don Giovanni di Molière e Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni. In qualità di regista e attore si è aggiudicato 5 Premi Ubu e due Premi dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. La giuria del Premio “Le Maschere del Teatro Italiano 2018” gli ha conferito il premio per la migliore regia per lo spettacolo La Cucina di Arnold Wesker.
Nella sua carriera è stato diretto dai più importanti registi italiani (Martone, Comencini, Giordana, Ozpetek), nel 2016 Binasco è stato nominato per il David di Donatello come miglior attore non protagonista per il film Alaska di Claudio Cupellini.