Milano. Mercoledì 24 luglio, al Teatro Grassi, “Arlecchino” torna simbolicamente in scena nell’esatto giorno in cui debuttava, nel 1947, a chiusura della prima stagione di Via Rovello. Ispirandosi a Strehler e alla sua “Edizione del Buongiorno”, Stefano de Luca ripensa lo spettacolo, con Enrico Bonavera nel ruolo del “batocio” e un cast di giovani attori diplomati alla Scuola del Piccolo. «Arlecchino è sempre rinato dalle sue ceneri, mai identico, sempre in movimento». Così Giorgio Strehler, nel 1990, salutava l’Arlecchino “del Buongiorno”, con Soleri e i giovani della Scuola del Piccolo. Spettacolo dei record e produzione italiana più vista nel mondo, l’Arlecchino del Piccolo rinasce ancora una volta sul palcoscenico di via Rovello – per la dodicesima volta in settantotto anni – in una nuova edizione affidata a Stefano de Luca, con Enrico Bonavera e un cast di attrici e attori diplomati alla Scuola di Teatro del Piccolo. In un’epoca di regie ad alto impatto tecnologico, le maschere della Commedia dell’Arte, le candele, gli oggetti, i broccati del Settecento parlano di un altro modo di fare teatro: «Arlecchino 2024: meraviglioso anacronismo o spettacolo acronico?» – si chiede Stefano de Luca, curatore della messa in scena. «Mi approccio con enorme curiosità alla nuova edizione che porta con sé un carico di inesplorate sfide e inedite opportunità di riflessione. Come accoglieranno questi giovani, attrici e attori, il lavoro su Arlecchino? Stiamo per imbarcarci su una macchina del tempo, simile a quella di Wells, che ci porterà a visitare un mondo teatrale “antico”. Parto con la forte convinzione che si possa tornare dal viaggio più ricchi di esperienza per le sfide del presente. Forse perché ho grande fiducia in questo gioco semplice, antico come l’uomo, territorio in cui infanzia e rito ancestrale si incontrano nella gioia del mascheramento. Arlecchino, spettacolo analogico in un mondo sempre più virtuale. Niente schermi, proiezioni, effetti luminosi e sonori. I musicisti a soffiare negli strumenti, l’odore delle candele, il portamento delle ragazze strette nei corsetti, maschere e trucco a cancellare le fattezze di visi costantemente esibiti via selfie. Arlecchino, spettacolo corale, in tempi di sfrenato individualismo: la regia di Strehler, dalle regole ferree, è un concertato di ritmi e toni, una partitura di gesti e movimenti, in cui la libertà va conquistata, la personalità del singolo posta al servizio di un’armonia d’insieme. Arlecchino, spettacolo in cui la lingua è un continuo intrecciarsi dei dialetti italiani, segno inequivocabile di diversità, in tempi di globalizzazione del linguaggio.Ibridazione e contaminazione, in cui identità e caratteri locali parlano al mondo intero, grazie alla loro unicità. Oggetti di scena semplici, siparietti, candelabri, ventagli, il budino, inchini e capriole. Non molto diverso da come poteva essere ai tempi di Goldoni, simile a come è stato dal 1947 a oggi. Eppure, immagino questo Arlecchino del 2024 come assolutamente nuovo, carico di ricordi e allo stesso tempo di quel gioioso e necessario oblio che solo la gioventù può regalare. Uno spettacolo del presente che danza leggero, in equilibrio sul filo del tempo, sospeso tra passato e futuro».