Firenze. È una delle commedie più profonde che siano mai state dedicate al senso della vita. Rappresenta per eccellenza la redenzione: il naufrago, il disperso, l’usurpato ritrovano il filo interrotto delle loro esistenze. Al Teatro della Pergola, da martedì 3 a domenica 8 dicembre, Roberto Andò dirige “La tempesta”, l’ultima grande opera di William Shakespeare, che fa parte del gruppo dei romance, cioè delle storie d’amore, avventura e magia che hanno sempre un lieto fine, composte dal Bardo al termine della sua carriera. Protagonista della produzione del Teatro Biondo Palermo è Renato Carpentieri, che indossa i panni del mago Prospero. Già duca spodestato di Milano, vive e regna su una misteriosa isola del Mediterraneo insieme alla figlia Miranda (Giulia Andò), lo spirito Ariel (Filippo Luna) e lo “schiavo”, il mostro Calibano (Vincenzo Pirrotta). Qui naufraga una nave con a bordo il re di Napoli, Alonzo (Francesco Villano), suo figlio Ferdinando (Paolo Briguglia), il consigliere Gonzalo (Gianni Salvo), il fratello di Prospero, Antonio (Paride Benassai), il duca usurpatore di Milano, e vari cortigiani. La tempesta è stata escogitata da Prospero stesso e nel naufragio non è perito nessuno.
“L’unica cosa possibile da fare per combattere questo stato delle cose è mettersi in moto – dice Roberto Andò ad Angela Consagra sul foglio di sala dello spettacolo – è qualcosa di molto semplice: bisogna imparare a convivere con la tempesta, è una condizione che fa parte proprio del nostro modo di essere umani. Dopo ogni tempesta occorre fare chiarezza dentro di sé, così Prospero – rileva – ci appare contemporaneamente come il paziente e il medico di se stesso: la tempesta della natura, di cui parla, è la stessa tempesta che ha dentro la sua testa. Prospero, fino in fondo, segue la sua impresa, anche se si rivela rischiosa: arrivare alla tappa finale e scegliere di abbandonare l’isola, uscendo di scena, ma ritrovando la propria anima”.
I naufraghi approdano in punti diversi: Ferdinando opportunamente vicino a dove si trovano Prospero e la figlia, così che i due giovani s’innamorino perdutamente l’uno dell’altra; il re di Napoli e il duca di Milano devono invece compiere un lungo cammino attraverso l’isola, mentre Calibano si mette al servizio dei marinari Stefano (Francesco Villano) e Trinculo (Paride Benassai) per organizzare un colpo di stato contro il padrone. Più tardi, Antonio e Sebastiano complottano per strappare il regno di Napoli ad Alonso, ma falliscono miseramente. La traduzione è di Nadia Fusini, l’adattamento di Roberto Andò e della stessa Fusini. La scena è di Gianni Carluccio, i costumi sono di Daniela Cernigliaro, le musiche originali di Franco Piersanti, il flautista è Roberto Fabbriciani, il suono è di Hubert Westkemper, il light designer è Angelo Linzalata.
“La finzione scenica, nel nostro caso, si svolge in una stanza, dove è appena accaduta una catastrofe naturale – spiega Roberto Andò – è come ci fosse della pioggia o il mare che entrano, gli attori si muovono sull’acqua. L’adattamento registico mostra la famosa scena del naufragio in mezzo alla tempesta: è una soluzione molto concreta, ma anche, allo stesso tempo, astratta. Agli attori ho chiesto di essere estremamente concreti nel loro incedere in scena, però gli spettatori penseranno di ritrovarsi sia nella tempesta, proprio fisicamente, sia nella mente di Prospero”.
Quando il regista preparava il manoscritto del principe, il film in cui ha raccontato gli ultimi quattro anni della vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (quelli in cui scrisse “Il Gattopardo”), per trasmettere la sua idea del principe all’attore che l’avrebbe interpretato, Michel Bouquet, lo paragonava a Prospero e gli leggeva quello che lo stesso Lampedusa aveva scritto della “Tempesta” per i suoi allievi. La descriveva come l’ultimo slancio fantastico di un genio, e ne invidiava il brio indiavolato.
“Ho sempre pensato – interviene Andò – che ci fosse un’analogia tra questi due personaggi, il principe interpretato nel film dal grandissimo Michel Bouquet, e Prospero, incarnato nella nostra messinscena da Renato Carpentieri, un attore memore di quell’accento insieme intelligente e fantastico che ancora si ritrova in certi intellettuali del Sud. “La tempesta” e “Il Gattopardo”: sono opere scritte in tarda età, da due grandi autori che fanno i conti con il proprio mondo, esternando anche il loro essere contro. L’acqua – aggiunge – è un elemento forte dal punto di vista dell’energia vitale, come se fosse uno specchio di ciò che siamo. La stanza sulla scena potrebbe essere di Palermo o di Napoli, in cui vive un intellettuale trascurato; sicuramente, questa stanza magica rappresenta una specie di dispositivo per l’arte”.
Alla fine Prospero perdona tutti, anche chi non si pente, come il fratello Antonio, che gli aveva portato via il ducato milanese. Il mago prepara le nozze di Ferdinando e Miranda con un affascinante spettacolo e, dopo aver sotterrato la bacchetta con i suoi incantesimi, si prepara a tornare con gli altri in Europa, lasciando Calibano unico padrone dell’isola.
“Prospero è un uomo di potere che ha rinunciato al comando, anche se – ragiona Rosi – si è lasciato sedurre dal piacere di muovere la sorte degli altri esseri umani. In lui alberga il principio del fallimento: in questo senso è un personaggio che anticipa tanti temi cari al Novecento. Questa prospettiva contiene un grande pensiero politico, morale ed esistenziale: visto sotto un profilo più teatrale, Prospero si potrebbe definire come un regista, pronto a fare i conti con ciò che gli hanno dato il teatro e la vita. Il significato del fallimento, imparare – conclude – che non è possibile vincere sempre: “La tempesta” è un’opera capace di trasmettere un lascito emotivo e profondo nei confronti degli spettatori, anche dei più giovani”.