Sanremo. Un nuovo contributo arricchisce la nostra rubrica “Arti e Spettacolo incontra Sanremo” dedicata agli autori dei brani in gara. Stavolta, l’appuntamento è con Giulio Nenna, compositore e direttore d’orchestra di “Ovunque Sarai”, frutto della collaborazione con Irama, Shablo e Luca Faraone.
Giulio iniziamo da “Ovunque sarai”: puoi parlarci del brano e di com’è nato?
Io e Filippo (Irama, ndr) abbiamo cominciato a scrivere questo pezzo due anni fa in Salento partendo da un pianoforte e voce e via via arricchendolo con diversi ingredienti orchestrali. Si tratta di una ballad nata dall’esigenza di raccontare una storia molto intensa ed intima. Probabilmente per questo abbiamo aspettato l’occasione che più potesse valorizzarla e Sanremo è certamente il palco adatto. In definitiva, credo sia un brano che mira a trasportare l’ascoltatore per un momento in un’altra dimensione. Anche musicalmente ci si avvale di suggestioni piuttosto cinematiche e da precise indicazioni stilistiche.
Lavori con Irama da più di sei anni ed insieme avete sperimentato tanto: quale declinazione ha “Ovunque sarai” rispetto al passato?
Con Filippo abbiamo collaborazioni davvero molto diverse tra loro. In effetti abbiamo già toccato il mondo ballad, ad esempio con “Cosa resterà” e “La ragazza con il cuore di latta” in gara alle precedenti edizioni del Festival. Tuttavia l’evoluzione probabilmente più importante sta nella grande libertà con cui si è affrontato questo pezzo, dove Irama esprime appieno la sua emozione e la sua vocalità e la produzione abbandona riferimenti necessariamente attuali e guarda piuttosto alla grande scuola italiana, come quella del maestro Ennio Morricone, in grado con la sua musica e orchestrazione di scrivere e arrangiare bellissime canzoni pop e colonne sonore immortali.
Com’è nata questa lunga collaborazione con Irama?
Ci siamo conosciuti in Toscana. Filippo presentò dei suoi demo all’etichetta con cui lavoravo. Da allora abbiamo unito la forza dei suoi testi e la sua base underground alla mia classicità e alle sonorità del Mediterraneo alle quali sono legato.
Tutto ciò ha dato vita a “Cosa resterà”, che univa i nostri mondi: questo binomio per l’epoca era un po’ una novità e fu accolto con stupore non solo positivo. Filippo aveva la necessità di dire, e accostava rime serratissime con momenti di melodia più distesa. C’è chi ha criticato la capacità di rappare moltissime parole in poco tempo, ma certamente il contrasto creato tra quella energia e i tratti più delicati e classici del pianoforte nel 2015 hanno destato attenzione.
Hai partecipato più volte al Festival: il brano da presentare alla kermesse nasce già con una veste “sanremese”?
Secondo la mia esperienza, è molto difficile scrivere un brano avendo già l’idea di doverlo portare a Sanremo. Si crea così una inefficace ansia da prestazione che nel momento della scrittura andrebbe a stonare con la giusta libertà necessaria per intonarsi, emozionarsi ed ispirarsi. Oltre a questo, non credo esista più la canzone “sanremese”, come dimostra il fatto che negli ultimi anni hanno vinto pezzi molto eterogenei tra loro.
Sicuramente Sanremo è una grande possibilità per la musica, ottimo sia per veicolare la solarità e leggerezza della musica italiana, sia per dare modo a quei brani che hanno bisogno di più di un ascolto di arrivare al pubblico, anche supportati dall’importante aspetto visivo e televisivo, che permette alla musica di arrivare al pubblico anche con il corpo.
Ci parli della tua esperienza al Festival nella duplice veste di compositore e di direttore d’orchestra?
In sostanza è un processo molto naturale. Avendo composto il brano e avendolo prodotto con Shablo e Faraone, con i quali c’è una grande sinergia, dirigere anche l’orchestra comporta due vantaggi: in primo luogo, la parte orchestrale è fedele all’idea musicale dell’autore; in secondo luogo, posso tentare di trasferire sull’orchestra l’emozione che ho provato al momento della scrittura.
Ciò non toglie che ci siano grandi maestri d’orchestra capaci di arricchire i brani con la loro interpretazione.
Come sono andate le prove?
Molto bene, le prove sono sempre un bel momento di incontro e di confronto. Spero che si possa tornare stabilmente ad esibirsi dal vivo con tutto il pubblico presente. Tutto il mondo dello spettacolo sta vivendo un periodo molto difficile.
Nella serata delle cover siete sul palco con “La mia storia tra le dita” accompagnati da Gianluca Grignani. È stato impegnativo lavorare ad una cover proprio con l’autore del brano?
È un grandissimo onore collaborare con Gianluca che ha scritto pezzi incredibili. Inoltre, è una persona schietta, vera, un grande artista che dice esattamente quello che pensa e per questi motivi il confronto qui a Sanremo è stato molto proficuo, una grande esperienza. Sono curioso di vedere Filippo e Gianluca esibirsi insieme perché sono entrambi molto genuini e sono convinto che ci sarà molta verità sul palco. Poi, “La mia storia tra le dita” è un brano di successo globale, sarà una sfida reinterpretarlo.
Quali sono le tue aspettative su Sanremo e quali progetti hai per il futuro?
Sanremo è la festa della musica in Italia ed è già bellissimo partecipare: poi, per me è importante che la canzone arrivi alle persone e che soprattutto trasmetta emozioni.
In futuro, sicuramente continuerò a lavorare con Irama e sto avviando altre collaborazioni pop-mainstream. Inoltre, sono stato coinvolto nel progetto di Rockin’1000: la più grande Rock Band del mondo, nata per invitare i Foo Fighters a Cesena, oggi si esibisce negli stadi (il 14 maggio suoneremo allo Stade de France di Parigi, già venduti 35.000 biglietti). Ho scritto delle musiche per gli intermezzi del loro show e stiamo studiando la realizzazione del loro primo album e dei loro primi inediti. Far suonare 1000 musicisti simultaneamente è complesso: una sfida unica che porta un messaggio dirompente. Infine, sto lavorando nuovamente ad un mio progetto solo strumentale legato alla musica mediterranea.
Il lavoro di un direttore d’orchestra a Sanremo naturalmente prosegue anche durante le giornate del Festival e, pertanto, ringraziamo Giulio che ci ha offerto un’ulteriore prospettiva sulla kermesse.