Sanremo. La rubrica “Arti e Spettacolo incontra Sanremo”, dedicata agli autori dei brani in gara, continua con Riccardo Onori, coautore di “Apri tutte le porte”, canzone interpretata da Gianni Morandi. Nato nel 1969, chitarrista, lavora da più di vent’anni con Jovanotti ed ha collaborato con moltissimi artisti italiani ed internazionali: da Carmen Consoli a Max Gazzè, da Tricarico a Jarabe de Palo, da Enrico Rava a Giovanni Allevi, solo per citarne alcuni.
“Apri tutte le porte” nasce dalla sua collaborazione con Jovanotti, Gianni Morandi e Mousse T: Maestro, ci può parlare del brano in gara?
Questo brano l’avevamo già scritto con Lorenzo (Jovanotti, ndr) per il suo album ma poi risultò inadatto al progetto e per questo motivo non fu inserito. Successivamente, Gianni ha chiesto a Lorenzo di collaborare e abbiamo proposto questo pezzo che si è rivelato più adatto a Gianni che a Lorenzo. Naturalmente, poi ci abbiamo lavorato tutti insieme ed abbiamo cucito il brano addosso a Morandi, anche lui molto partecipe nella rielaborazione del lavoro.
Lei ha già partecipato all’edizione del 2017 del Festival con Samuel portando il brano “Vedrai”: in base alla sua esperienza, il tentativo di andare a Sanremo influenza il lavoro degli autori?
In verità, con Samuel il pezzo faceva parte del suo album ma non avevamo idea che sarebbe andato al Festival. Poi, chiaramente, la partecipazione a Sanremo ha dato centralità a “Vedrai”.
Come ho detto, quest’anno “Apri tutte le porte” è una canzone che in parte avevamo già definito e solo in fase di scrittura finale è stata strutturata per Gianni. Naturalmente, la selezione è dipesa da Amadeus che valuta anche il “cast” degli artisti: in fin dei conti, Sanremo è pure uno show.
Concentriamoci sulla figura di chi scrive musica: cosa significa essere autore in questo momento storico e, in particolare, autore di un brano in gara all’Ariston?
A me piace essere coautore. La parte di questo lavoro che senza dubbio preferisco è la cooperazione con altri artisti. Personalmente scrivo solo le musiche e vivo la collaborazione come una vera necessità. Cooperare significa avere la possibilità di ottenere un brano più completo: in sostanza, attraverso lo scambio, due autori possono far nascere qualcosa che nessuno dei due avrebbe creato se avesse lavorato individualmente, proprio come in una reazione chimica.
Ovviamente, è molto bello poter fare questo lavoro per Sanremo: seguo il Festival fin da piccolo e in Italia è un banco di prova importante per gli artisti. Inoltre, alla luce della mia esperienza, vivendo il festival dall’interno si capisce molto di più il valore della manifestazione.
Quando un autore può dirsi soddisfatto del lavoro fatto a Sanremo?
A mio avviso, si partecipa al festival per portare la propria canzone, senza pensare alla classifica. Spesso i brani che poi piacciono alle persone non coincidono con la classifica di Sanremo. Ad esempio, la canzone “Vado al massimo” di Vasco Rossi si posizionò ultima e sappiamo tutti il successo che ha avuto in seguito.
Poi, Sanremo dà una visione del brano che è propria del Festival: all’Ariston è importante anche la performance, la presenza scenica. Diversamente, ad esempio in radio, il pezzo acquista fisiologicamente un altro sapore.
Lei ha lavorato tanto anche sul palco. Cosa pensa dello stato attuale della musica dal vivo?
Purtroppo, la situazione della musica dal vivo è veramente drammatica. Alcuni mesi dopo l’inizio della pandemia Conte disse che gli artisti “fanno divertire”: ecco, senza entrare assolutamente nel merito politico, quella frase mi disturbò perché occorre considerare che, dietro l’intrattenimento che fa stare bene le persone, c’è tanto lavoro. In Italia purtroppo manca la stessa considerazione di questo mestiere che, invece, c’è ad esempio negli Stati Uniti, dove fare l’artista è una professione come tante altre.
A mio avviso, è un difetto del sistema che chi lavora nel nostro settore non abbia un vero e proprio ruolo; si tratta di un settore che produce economia per tante famiglie: dietro le quinte lavorano tantissime persone. Credo sia il momento giusto per rivalutare i lavoratori dello spettacolo che peraltro sono molto specializzati: è un mestiere molto complesso, senza il quale non ci potrebbe essere musica dal vivo. Intendo dire che il montaggio di un palco, ad esempio, non si può improvvisare. Per esibirci dal vivo, anche per noi musicisti, non è sufficiente solo saper suonare: alcune competenze si acquisiscono sul campo.
Passiamo ora al suo album: ci parla di “Sonoristan”?
Come ho detto, mi piace collaborare. Tuttavia, mi sono reso conto che le musiche che ho composto per “Sonoristan” non erano adatte a nessun artista. Per questo motivo ho intrapreso questo primo progetto da solista che comunque mantiene un’anima collaborativa. Infatti, ho chiesto agli artisti con cui ho collaborato negli anni di affiancarmi nei diversi brani. Dopo tante collaborazioni, ho realizzato il mio primo album: è arrivato a cinquant’anni e sono contento perché è stato anche un modo per mettermi in discussione. Sto già lavorando ad un mio nuovo disco.
Ecco, allora ci può dare qualche anticipazione sul suo prossimo album?
Sarà sicuramente un progetto meno frastagliato di “Sonoristan”. In particolare, sto scrivendo con un unico cantante e ci saranno meno collaborazioni. È un lavoro più coerente ed uniforme per poterlo presentare dal vivo.
In verità, ho avuto molte difficoltà a portare “Sonoristan” sul palco perché è ricco di collaborazioni e non avrei potuto farmi accompagnare da trenta artisti.
Lei conclude la biografia sul suo sito con una frase molto bella: “e poi? E poi cos’altro vorrei!?!?”. Pertanto, cos’altro desidera in futuro?
Innanzitutto, vorrei tornare a suonare dal vivo. Poi, desidero fare ancora tantissime collaborazioni. In effetti, lavorare con artisti diversi significa scoprire nuove modalità di fare lo stesso mestiere.
Ci auguriamo di poter presto ascoltare il nuovo progetto di Riccardo Onori che ringraziamo per questa generosa intervista. Nel frattempo, ci godiamo “Apri tutte le porte”.