Bologna. Dal 21 al 24 aprile, presso il Teatro Arena del Sole, Sala Leo de Berardinis, Elena Bucci e Marco Sgrosso si confrontano con uno dei maggiori scrittori del nostro tempo, David Grossman, rileggendo per il teatro un’opera toccante, che ci parla della perdita di un figlio e del dolore di chi resta: “Caduto fuori dal tempo”. L’autore israeliano ha scritto il romanzo quattro anni dopo la perdita del suo secondogenito, ucciso in missione da un missile anticarro sul fronte libanese nel 2006, facendo emergere il coro di un’umanità che ha sempre cercato di trasformare in mito il racconto della morte e di fare del dolore di ognuno il dolore di tutti. Scrive Elena Bucci, che per la prima volta traspone sulla scena il libro: «Caduto fuori dal tempo è un testo che porta in sé una mite e potente rivoluzione: in un’epoca dove molte culture tollerano con fatica il lutto, quasi fossimo eterne, infantili deità, David Grossman si avventura con coraggio nel difficile viaggio dentro la morte e lo traduce in parole che riconosciamo autentiche e nostre. Attraverso la scrittura trasforma il suo dolore personale in parola poetica e universale che cura e consola, permettendoci di intravedere, nel nostro mondo colorato e rumoroso, la sua dimensione intima e silente, visionaria, dove si può accettare l’assenza e compiere il rito del saluto che permette di tornare a vivere. È una contemporanea discesa negli abissi che ci ricorda l’antica e profonda funzione delle arti e l’importanza dei riti collettivi nell’avvicinarci al mistero del nostro passaggio nel mondo». Una sera, in una città di un luogo immaginario, un padre si alza da tavola, prende commiato dalla moglie ed esce per andare laggiù. Ha perso un figlio, anni prima, e laggiù è dove il mondo dei vivi confina con la terra dei morti. A lui si unisce una variegata serie di personaggi che vivono lo stesso dramma e lo stesso dolore. Lo Scriba delle cronache cittadine, un ex giullare incaricato dal Duca di prendere nota delle storie dei suoi sudditi che hanno perso i figli, ci guida in un paese sospeso tra diverse epoche dove incontriamo una Donna muta nascosta in una rete in riva al lago, un Ciabattino e sua moglie, la Levatrice, un Centauro costretto alla scrivania e alla scrittura, un Maestro di Aritmetica che canticchia all’infinito operazioni e formule, il Duca stesso. In una veglia di sogno tutti camminano insieme seguendo l’Uomo, per scoprire finalmente che «c’è respiro nel dolore, c’è respiro», come sussurra la voce di un bimbo. «Dopo il suo possente scavo – continua la regista – la scrittura si è intrecciata al teatro e con sorprendente naturalezza, sotto i nostri occhi, dentro di noi, sul palco, è diventata suono, voce, colore, musica, un luogo dove ritrovare i perduti, uno spazio di catarsi dove ci sentiamo in pace, vicini, sospesi nello stesso attimo, sulla stessa soglia, ad ascoltare una favola nella quale il dolore si trasfigura. Caduti fuori dal tempo». «È un’opera – aggiunge Marco Sgrosso – in cui si precipita, risucchiati da un vortice di dolore che dalle prime righe si fa canto, le parole si moltiplicano facendosi sinfonia nella loro musicalità, che le rende “cuntu”: un compianto a due voci che si arricchisce di echi e sfumature nel librarsi dal buio iniziale verso lo spiraglio di una luce nuova. Personaggi e luoghi scolorano l’uno nell’altro e si intrecciano, e i drammi individuali si dissolvono in un inno di amore che riunisce tutti nella marcia verso il confine che separa i vivi dai morti, al cui cospetto forse sarà possibile ricominciare a vivere in una riconciliazione pacificata».