Napoli. Dal 25 ottobre al 3 novembre al Teatro San Carlo di Napoli è in scena “Carmen”, opera comica in quattro atti, musiche di George Bizet, il libretto è di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, tratto dall’omonima novella di Prosper Mérimée.
Doveroso il ricordo che prima dell’inizio dello spettacolo il Teatro ha rivolto al grande drammaturgo, poeta, regista e attore Eduardo De Filippo, nel giorno in cui 40 anni fa scompariva, quando proprio su quel palcoscenico per la prima volta, in occasione di una serata di beneficenza nel 1945, aveva portato la sua “Napoli Milionaria!”.
È stata evidenziata dell’autore napoletano la capacità di cogliere e descrivere attraverso i personaggi delle sue commedie la grande umanità e l’essenza stessa del popolo napoletano.
Quella alla quale abbiamo assistito ieri sera è una rappresentazione che non mostra i segni del tempo, perché è completamente rinnovata sia dal punto di vista musicale che nelle scelte e soluzioni scenografiche, nei costumi con loro in perfetta armonia, con il risultato che la resa e il senso sono assolutamente attuali. Ma procediamo per gradi.
L’orchestra diretta dal Maestro Dan Ettinger ha adottato scelte non scontate e mai banali, di grande finezza, connotate da un equilibrio timbrico amplificato dalla perfetta capacità di restituire e diffondere il suono in sala, raggiungendo così simmetria e armonia all’interno di una esecuzione di per sé dinamica, come richiesto dalla natura dei noti brani eseguiti.
Questi ultimi, proprio per il loro utilizzo e accostamento in sponsorizzazioni, sono molto conosciuti anche dal grande pubblico e per questo il rischio di cadere nell’ovvio e nel già realizzato era dietro l’angolo.
Il Maestro però è riuscito a fare emergere il senso più profondo della partitura musicale, superando la superficie del noto, conducendo per mano il pubblico attento e ricettivo, attraverso un percorso nuovo, fatto di fraseggi e dialogo continuo tra lui, l’orchestra e i cantanti, in un continuo scambio che ha reso evidente l’affiatamento tra gli orchestrali e i cantanti anche con il coro dei giovani e giovanissimi – il Coro di Voci Bianche del Teatro San Carlo – che hanno animato questo affollato palcoscenico.
È arrivato così il senso profondo della musica di Bizet nella narrazione del destino di una donna libera come Carmen.
Merito è anche della regia, firmata da Daniele Finzi Pasca, che aggiunge all’opera originale quel senso di giocosità – mediante ad esempio il coro dei bambini, che in un quadro scherzano con i soldati – e di umanità nei suoi personaggi, retaggio del suo Teatro Sunil e del cosiddetto “Teatro della carezza” attraverso il quale cerca di raccontare, con storie minuscole e guerrieri solitari, gli eroi perdenti.
Contribuiscono al gioco anche le pennellate di colori che dividono lo spazio scenico, con la scelta di uno dominante declinato in diverse tonalità come le differenti emozioni che attraversano l’animo umano, capaci quasi di accendere la scena.
E il colore scelto pervade ciascun atto, dagli abiti – bellissimi di Giovanna Buzzi – agli accessori, alla scena tutta: il giallo per il primo, il bianco per il secondo, il nero per il terzo e, infine, il rosso.
Alle scelte cromatiche si affiancano le luci di Daniele Finzi Pasca e Alexis Bonanigo, che hanno la funzione di fare chiarezza sugli aspetti più neri dell’essere umano, e così abbiamo le luminarie di un giorno di festa tipiche delle città della Siviglia, nel primo e ultimo atto, che si alzano e abbassano per consentire l’ingresso dei soldati e delle donne gitane, sostituite poi nel secondo atto da una fioca lanterna centrale, messa a far risaltare i contorni dei merletti dei pannelli usati a delimitare un cortile che ricorda quello di un riad, per poi diventare, nel terzo atto, una pioggia di lucine intermittenti a simboleggiare una notte stellata in un cielo blu cobalto.
E ancora, dei neon tenuti in mano dalle stesse cantanti (le apprezzate Florian Zanetti in Mercédès e Andrea Cueva Molnar in Frasquita), che in alcune occasioni sostituiscono la funzione dell’occhio di bue, per sottolineare la concretezza e realtà di quello che cantano.
Queste belle scelte scenografiche di Hugo Gargiulo hanno contribuito alla modernità e attualità dell’opera, offrendoci uno spazio e un tempo onirico, sospeso fuori dal tempo.
Le sovrastrutture non hanno però distolto l’attenzione dall’opera in cui protagonista è una donna come Carmen (l’applauditissima Aigul Akhmetshina) che è libera, indipendente, capace di innamorarsi del torero Escamillo (Mattia Olivieri) e di rifiutare chi non ama, Don José ( Dmytro Po-pov).
In scena anche il dramma di un altra donna, Micaëla (Selene Zanetti, che per la bravura e il timbro di voce avrebbe meritato un ruolo di primo piano) che ama, non ricambiata, Don José, il quale – incapace di accettare il rifiuto di Carmen – l’accoltella a morte.
Una rilettura, allora, dello stesso personaggio femminile, che non è la solita Carmen leggera ma, a contrario, capace di grandi slanci e di scelte consapevoli.
E i personaggi che si sono alternati in queste 2 ore e 50 minuti di messa in scena danno l’idea di comprendere e accettare il suo modo di vivere la libertà e la femminilità, avanzando in linea sul palcoscenico incontro a questo corpo a terra caduto sotto i colpi di José.
Crediti foto: Luciano Romano.