“Come un animale senza nome”, Pier Paolo Pasolini rivive nelle parole e nei gesti di Musella

Napoli. Dal 6 al 9 marzo Sala Assoli – La Casa del Contemporaneo – ospita Lino Musella impegnato nel reading di “Come un animale senza nome”, versi tratti dal “Poeta delle ceneri” di Pier Paolo Pasolini, in una drammaturgia di Igor Esposito, per una produzione di La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello – Cadmo.
Voce dell’anima di Musella e musica originale eseguita dal vivo dal dj set Luca Canciello sono le uniche note a vibrare in una sala buia, con fari a intensità diversa a seconda dell’andamento del narrato, posizionati ad illuminare i volti dei due artisti perdersi sin dalla premessa tra i temporali e le primule di quel paese a Nord Est “ai confini piccolo borghesi con l’Austria”.
Capaci di farci sentire le lacrime calde scendere sul volto ogni volta che pensava al fratello Guido partigiano, ucciso da altri partigiani, su quel confine disboscato, dove restano piccoli colli grigi e prealpi “sconsolate”.
E toccare il paese tra la montagna e il mare mentre scoppiano i grandi temporali e la pioggia che cade continua d’inverno e scorgere in febbraio tra i “rami nudi le montagne chiare come il vetro” e d’estate perderci tra i campi di granturco alternati a quelli verdecupo dell’erba medica.
È da Casarsa che questo viaggio della memoria parte, lì dove c’è una cassapanca che Musella apre, con il rispetto di chi sa di entrare nel mondo altrui, fatto di ricordi intimi fermati su manoscritti “di uno dei tanti ragazzi poeti” che allora non sapeva che sarebbe diventato il poeta.
E che solo il suo sguardo attento avrebbe potuto trasformare in “grande poesia l’impoeticità” della semplice vita contadina di quella “gente educata e grossolana, un po’ volgare ma sensibile”.
Musella si muove, sale, scende da quella sedia alta, scomoda, inadeguata come per liberarsi da “strade colpite da un sole che non era della sua vita ma di quella dei suoi genitori” dove aveva mosso i “primi passetti” e attraversare “strato leggero e duro da cui era coperta la pianura friulana” per liberarsi da un destino non suo.
Ecco che alza la voce, aumenta il ritmo mentre Pasolini fugge verso Roma, dove abbandona la sequenza lineare dell’accadimento degli eventi esterni per concentrarsi su se stesso e la propria esperienza sensoriale “troppo occupato a pensare a un fiume celeste tra grandi ghiaie pedemontane”, perché la vita non ha un unico modo di essere vissuta ma può essere interpretata in altro modo da quello ordinario, che non è la vita dei sogni ma è un’ombra che non conosciamo”.
Alla premessa seguono saggi, lettere, interviste per delineare la sfaccettata personalità di Pasolini e la capacità di Musella è di mostrare nel corpo, nella gestualità prima ancora che nelle parole sussurate, lette, urlate e persino rappate il furore e la rabbia di Pasolini contro la degradazione dei sentimenti e dell’umano.
Si tratta di piccoli movimenti, gesti quasi impercettibili agli occhi poco attenti, per evitare che la vista faccia perdere attenzione all’udito, perché arrivino dirette, piene, spesso crude le sue parole senza lasciare dubbi all’interpretazione.
La scena al centro è volutamente lasciata vuota con i due Musella e Canciello posizionati ai suoi lati, perché il continuo duettare di parole e musica riempie il palcoscenico di immagini che a mano a mano prendono forma e vita come se Pasolini non ci avesse mai lasciati.

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